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martedì 18 agosto 2015

L'ascesa della Lockheed-Martin

Industria e difesa
Il nuovo gigante Lockheed Martin
Michele Nones
06/08/2015
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In luglio, Lockheed Martin (LM), il terzo gruppo mondiale nell’aerospazio, sicurezza e difesa con un fatturato di 34,4 miliardi di dollari (vedi “Bilanci e industria della difesa” su www.iai.it) ha definito con United Technologies l’acquisizione della società elicotteristica Sikorsky per circa 9 miliardi di dollari (di cui, però, 1,9 compensati fiscalmente).

LM arriverà così a superare i 40 miliardi di dollari di fatturato, il 60% di quello di Boeing e due terzi di quello di Airbus. Il vertice mondiale del settore si allarga in questo modo a un terzo attore, tanto più forte se si considera che gli altri due realizzano gran parte dei ricavi nei velivoli civili in cui LM non opera.

Si è trattato di un’operazione di dimensioni significative: basti pensare che corrisponde alla capitalizzazione in borsa di un grande gruppo europeo come Finmeccanica. E questo ci ricorda quanto è grande la differenza fra il mercato europeo e quello americano. Questa acquisizione rappresenta il secondo allargamento di Lockheed dopo quello nel settore elettronico attraverso l’integrazione con Martin Marietta venti anni fa. Adesso vi aggiunge l’elicotteristica.

Implicazioni non solo economico-finanziarie
Ma le implicazioni vanno al di là dell’aspetto economico e finanziario, anche se pochi sembrano avervi riflettuto. Quando dieci anni fa Agusta Westland (AW) vinse, alleata con LM, la prima gara per la costruzione dell’elicottero destinato al trasporto del presidente e delle autorità americane, superando la proposta del fornitore nazionale Sikorsky, qualcuno pensò che questo potesse sottendere un minore interesse americano verso questo settore che, a sua volta, aveva portato a una scarsa propensione all’innovazione tecnologica e, quindi, alla non adeguata maturazione della nuova macchina proposta.

Di fatto, in quel momento sul mercato internazionale si battevano due contendenti, AW e Eurocopter (oggi una divisione di Airbus). Qualcuno, più incautamente, teorizzò che l’elicottero sarebbe stato sostituito in futuro dal convertiplano (una macchina in grado di decollare/atterrare come elicottero e volare come aeroplano) e, quindi, di minore interesse strategico.

Altri, più saggiamente, intuirono che l’utilizzo dei competitori europei era indirizzato a spingere verso una maggiore efficienza una parte dell’industria americana, in particolare quella che si era adagiata sulle ricche commesse del Pentagono.

La successiva cancellazione di questa e di altre commesse assegnate ad imprese europee, fra cui quella per il velivolo da trasporto tattico C27J dell’italiana Alenia Aermacchi, hanno confermato che le imprese europee sono state utilizzate come “lepri” per rendere più competitive quelle americane. E così la seconda gara per l’elicottero presidenziale è stata vinta da Sikorsky insieme a LM che, nel frattempo, aveva cambiato partner.

Le motivazioni strategiche
L’interesse di LM per Sikorsky si è certamente consolidato attraverso questa esperienza che si è aggiunta all’essere il principale fornitore di Sikorsky nella famiglia degli elicotteri Black Hawk, uno dei maggiori successi nella storia del settore elicotteristico. Ma vi è anche una motivazione strategica, nella convinzione che l’integrazione nel terzo grande gruppo aerospaziale mondiale potrà avvantaggiare Sikorsky sul mercato internazionale.

In realtà l’impresa americana è già al secondo posto con un fatturato di circa 6,2 miliardi di dollari nel 2013, dietro Airbus Helicopters con 8,7 e davanti ad AW con 5,6 e a Bell con 4,5. Anche sul piano del margine operativo Sikorsky risultava seconda col 9,5%, dietro a Bell col 12,7 e ad AW con l’11,4, ma davanti ad Airbus Helicopters col 6,4.

Ma, fino ad ora Sikorsky ha lavorato molto sul mercato militare americano, che resta il maggiore a livello mondiale. Adesso potrà diventare più aggressiva anche su quello delle esportazioni.

Il mercato sembra, infatti, orientarsi sempre più verso operazioni in cui conta la capacità del fornitore sul piano finanziario e industriale (anche con l’offerta di un coinvolgimento diretto o indiretto delle imprese locali) e la capacità di supporto del proprio sistema-paese, non solo sul piano commerciale, ma anche su quello militare (con l’offerta di addestramento del personale operativo e tecnico e di sostegno logistico).

Ma conta anche la capacità del sistema-paese di favorire l’innovazione di prodotto e di processo, individuando le aree di eccellenza e perseguendo il loro rafforzamento.

Nel mondo sempre più globalizzato e competitivo, bisogna sostenere i forti e non disperdere le limitate risorse disponibili per cercare di difendere le imprese e i settori più deboli. Il rischio, altrimenti, è di perdere anche le proprie imprese di successo nei settori tecnologicamente avanzati.

È una lezione che i decisori italiani dovrebbero rapidamente imparare, evitando, come si continua a fare, una politica industriale e della ricerca a pioggia e prendendosi la responsabilità di decidere loro, e nessun altro, quali sono i settori strategici di interesse nazionale su cui puntare.

Michele Nones è Direttore del Programma Sicurezza e Difesa dello IAI.
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lunedì 3 agosto 2015

Verso la conclusione della vicenda

Italia-India
Marò: l'arbitrato, una svolta nella vicenda
Natalino Ronzitti
16/08/2015
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Dopo titubanze e smentite, Roma ha rotto gli indugi e ha fatto ricorso all’arbitrato internazionale contro l’India per l’affare dei Marò. Il 26 giugno ha indirizzato all’India l’atto introduttivo del procedimento per la costituzione della Corte arbitrale e il 21 luglio ha chiesto al Tribunale internazionale del diritto del mare, con sede ad Amburgo, misure provvisorie in attesa della decisione della Corte.

Misure Provvisorie e Arbitrato Internazionale
Mentre il Tribunale internazionale del diritto del mare è una giurisdizione permanente, la Corte arbitrale, prevista dall’Annesso VII alla Convenzione del diritto del mare, è una struttura che deve essere costituita all’occorrenza.

La Convenzione sul diritto del mare autorizza uno Stato parte della controversia a chiedere misure provvisorie in attesa di un pronunciamento della Corte arbitrale, la cui costituzione deve avvenire secondo tempi precostituiti, sufficientemente spediti.

Ma la pronuncia definitiva non è rapida e può richiedere anche due-tre anni. Si badi bene che la Corte arbitrale non dovrà pronunciarsi sulla colpevolezza o innocenza dei due Marò, ma su chi ha titolo di giurisdizione per farlo: Italia o India.

L’Italia ha infatti chiesto alla Corte che l’India cessi di esercitare la giurisdizione sui Marò attraverso i propri tribunali e nello stesso tempo che vengano censurati i comportamenti tenuti in violazione del diritto internazionale connessi alla pretesa di esercitare la giurisdizione sui due militari italiani.

In attesa che la Corte arbitrale decida, le misure provvisorie domandate al Tribunale di Amburgo consistono nella richiesta di permanenza in Italia di Latorre, cui è stata concessa una proroga di sei mesi per motivi di salute, e nel ritorno di Girone, costretto a rimanere in India e sottoposto all’obbligo di firma, nonché nella sospensione di ogni procedimento giudiziale e amministrativo in India nei loro confronti.

Il fallimento della soluzione diplomatica
Come si è giunti alla decisione di ricorrere all’arbitrato, da più parti suggerita, ma da altri scoraggiata (incluso chi scrive)?

Per oltre tre anni il Governo italiano, a parte i pasticci sulla riconsegna dei Marò recatisi in Italia in licenza elettorale, ha seguito un duplice binario: da una parte si è difeso, tramite i Marò, nel processo indiano, affermando l’incompetenza della giurisdizione locale; dall’altra ha tentato di risolvere la questione in via diplomatica, prima con l’intervento di un inviato speciale e poi, dopo un nuovo, reiterato e pressante interesse da parte del ministro degli Affari esteri, con l’intervento dello stesso presidente del Consiglio, che si è avvalso, una volta installatosi il Governo Modi, anche delle nostre strutture d’intelligence.

Sennonché, mentre è chiara la via giudiziaria, non molto(o niente) è dato conoscere dei contenuti della trattativa diplomatica, che per sua natura comporta reciproche concessioni. Sarebbe opportuno che il Governo sul punto facesse chiarezza.

L’alea delle misure provvisorie
L’ordinanza del Tribunale del diritto del mare è attesa per il 24 agosto. Si conoscerà quindi se le richieste italiane, cui l’India si oppone, verranno accolte o respinte, in tutto o in parte. La decisione del Tribunale potrà essere modificata, revocata o confermata dalla Corte arbitrale.

Il buon esito della richiesta di misure provvisorie è condizionato dall’urgenza della situazione e dalla dimostrazione che la Corte arbitrale in via di costituzione sarà competente, prima facie, a dirimere la controversia.

Punti che sono stati adeguatamente sceverati dagli avvocati delle due parti, che comprendono giuristi ed esperti di varie nazionalità (il team italiano annovera anche avvocati indiani, mentre quello indiano non conta nessun esperto italiano).

Si badi bene che la competenza sussiste solo qualora si accerti che la controversia abbia per oggetto l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Punto che sembrerebbe lapalissiano, essendo l’incidente avvenuto “in mare”. Ma così non è, come ha tentato di dimostrare la difesa indiana,che ha contestato la rilevanza nel caso concreto delle disposizioni della Convenzione, sciorinate da uno degli avvocati dell’Italia.

Le cose non sono quindi semplici. Per contrastare la richiesta di misure provvisorie di rilascio dei due Marò, nel timore che essi non sarebbero restituiti all’India qualora la Corte arbitrale si pronunciasse a favore della giurisdizione indiana, sono state addirittura avanzate accuse di scarsa affidabilità dell’Italia per non aver inviato in India, contrariamente agli impegni presi al momento del rilascio della Enrica Lexie, i quattro Marò che facevano parte del team militare imbarcato sulla nave (auditi peraltro in videoconferenza) e per il tentativo di fare restare in Italia Girone e Latorre cui era stata concessa la licenza elettorale.

È stata ricordata anche la sentenza della Corte costituzionale, che si è pronunciata per la non esecuzione della sentenza della Corte internazionale di giustizia nel caso Germania c. Italia, costringendo l’agente del Governo italiano a ribattere che l’Italia onorerà la sentenza della Corte arbitrale, qualunque essa sia.

Il lungo cammino intrapreso
Come si è detto, indipendentemente dall’imminente pronuncia sulle misure provvisorie, la procedura per ottenere una decisione del Tribunale arbitrale è piuttosto lunga.

Le parti potrebbero continuare a negoziare e trovare una soluzione soddisfacente per chiudere la controversia. Gli esempi non mancano. La via sarebbe facilitata dall’ottenimento di una misura provvisoria per il rientro in Italia dei due Marò.

Uno degli avvocati di parte indiana ha affermato di essere stato autorizzato a proporre che la Corte speciale, chiamata a giudicare in India i due Marò secondo quanto disposto dalla Corte Suprema di New Delhi, concluda i lavori in quattro mesi qualora non vi fosse opposizione italiana. Ma tale proposta è inaccettabile una volta scelta l’opzione di difendersi dal processo e non nel processo.

Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
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