Translate

giovedì 23 febbraio 2017

Mercoledì del Nastro Azzurro. 1 marzo 2017 ore 17

ISTITUTO DEL NASTRO AZZURRO

FRA COMBATTENTI DECORATI AL V.M.

(Ente Morale R.D. 31 maggio 1928 n. 1308)
Piazza Galeno, 1 - 00162 ROMA


Federazione Provinciale di Roma Roma,
 22 febbraio 2017

Comunicato Stampa



Mercoledì 1 marzo 2017
presso la Sala Convegni dell'Istituto del Nastro Azzurro Piazza Galeno,1 – Roma
dalle ore 17,00 alle ore 19,00
si terrà il 6° incontro del 2° ciclo
de "I Mercoledì del Nastro Azzurro"

verranno presentati i volumi
'Caschi Blu Italiani'

'ReportagEsercito'

a cura di 'Informazioni della Difesa'
rivista dello Stato Maggiore della Difesa


Interverranno:
Stefano Pighini, Tommaso Gramiccia, Massimo Coltrinari, Mario Renna, Giuseppe Tarantino


info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org

lunedì 13 febbraio 2017

Un aiuto da Tripoli

Migranti
Ue: Malta, Tripoli in mare contro scafisti
Fabio Caffio
06/02/2017
 più piccolopiù grande
La Libia di Serraj torna al passato impegnandosi, come già fece Gheddafi, a fermare gli espatri irregolari dalle sue coste. Questa volta l’intesa non è solo bilaterale con l’Italia. L’Unione europea, Ue, con la Dichiarazione di Malta (del 3 febbraio 2017), ha garantito il suo sostegno a Tripoli per il controllo delle proprie frontiere marittime. L’attività di sorveglianza interna che verrà svolta è tuttavia definibile come blocco solo in senso figurato.

Nelle acque territoriali ci saranno mezzi e personale di Tripoli per evitare espatri illegali, intervenire per il salvataggio, Sar, delle persone trasportate su imbarcazioni insicure ed arrestare gli scafisti. Oltre le 12 miglia opereranno le navi Ue ed italiane. Qualunque misura si adotti, il rispetto dei diritti umani sarà comunque una precondizione ed un impegno che tutti gli attori della partita dovranno far rispettare.

Relazione speciale italo-libica
Il Memorandum d’intesa firmato da Roma e Tripoli il 2 febbraio 2017, rivitalizza, nella parte relativa all’immigrazione clandestina, lo storico Trattato italo-libico di Bengasi del 2008 confermando le tesi espresse su queste pagine da Natalino >Ronzitti.

L’accordo non prevede misure di cooperazione navale, a differenza dei memorandum stipulati con Gheddafi relativi agli immediati riaccompagnamenti in Libia dei migranti salvati. Come si ricorderà, durante la loro applicazione ci fu il ritorno forzato a Tripoli di persone imbarcate su Unità Sar italiane; evento che portò la Corte europea dei diritti dell’uomo, Cedu, a condannare l’Italia per forme di espulsione collettiva verso un Paese “non sicuro”, in violazione del principio di non respingimento della Convenzione di Ginevra del 1951.

Per rafforzare la sovranità libica, l’Italia s’impegna ora - oltre che a finanziare la costruzione di “campi di accoglienza temporanea” ed un sistema di controllo dei confini meridional i- a cedere Unità guardiacoste alle Forze marittime tripoline addestrando il personale.

(Fonte: UK Parliament).

L’ombrello dell’Ue
L’Ue si assume la piena responsabilità di sostenere Tripoli accettando le richieste di intangibilità della propria sovranità territoriale. Il Consiglio europeo ha quindi accantonato l’ipotesi di passare alla fase (2B) di intervento in acque territoriali libiche delle unità navali partecipanti all’Operazione Eu Navfor Med Sophia che dovrebbero neutralizzare sin dalla partenza i barconi degli scafisti.

Le navi europee impegnate in tale operazione continueranno quindi (lo stanno già facendo) nella formazione della Guardia costiera e della Marina di Tripoli e nella sorveglianza delle acque internazionali, anche ai fini Sar, avendo a bordo personale della Guardia di frontiera e costiera europea che dovrebbe svolgere compiti ancora da definire.

Il modello dell’Egeo, in cui unità greche - con il supporto della Nato - riaccompagnano in Turchia le persone salvate, è risultato impraticabile, benché inizialmente preso in considerazione. Esso avrebbe infatti comportato un vulnus della sovranità libica ed avrebbe esposto i Paesi Ue al rischio di essere condannati dalla Cedu per forme di respingimento collettivo.

Diritti umani e Sar
Il portavoce per il Sud Europa dell’Alto commissariato per i rifugiati, UnHcr, ha paventato violazioni ai diritti umani nei confronti delle persone (salvate in mare e non) che saranno in futuro custodite nei centri di accoglienza libici.

Il rischio è reale, visti i precedenti di Gheddafi e l’instabilità dell’attuale situazione, ma bisogna considerare quello che resta ancora da fare. Oltre ad un’azione di persuasione dell’Ue verso Tripoli perché aderisca alla Convenzione di Ginevra, c’è da aspettarsi che successivamente l’UnHcr stipuli un accordo, come fatto con la Turchia, per un proprio coinvolgimento nella gestione di detti centri, nell’avvio di procedure selettive di verifica in loco del diritto a status di rifugiato e nell’apertura di corridoi umanitari che permettano ai richiedenti asilo di entrare legalmente in Europa.

Una volta sciolti questi nodi umanitari si potrà decidere se riportare in Libia le persone soccorse da navi Ue - anche con l’ausilio di Ong molto attive nel Sar - in zone vicine alle acque libiche. Non avrebbe infatti senso continuare a sbarcarli in Italia per non alimentare il circuito perverso dei trafficanti, anche se c’è chi pensa che sia nostro interesse continuare a farlo. Si ipotizza che una possibile alternativa alla Libia, siano Tunisia, Algeria o Egitto.

(Fonte: European Council).

Malta, Italia, Ue
Il ruolo, pragmatico e propositivo de La Valletta nella gestione delle relazioni con Tripoli è stato eccellente permettendo ad Italia ed Ue di raggiungere il risultato sperato. Malta potrebbe giocare altre carte durante il semestre Ue, magari cercando di coinvolgere la Cirenaica - grazie ai buoni rapporti con il Parlamento di Tobruk - nel controllo dei flussi migratori, ad evitare che si aprano nuove rotte ad oriente.

Per aiutare l’Italia ad assolvere il suo gravoso compito di principale autorità di salvataggio marittimo del Mediterraneo, Malta potrebbe inoltre lanciare un’iniziativa di cooperazione nel Sar, tentando anche di raggiungere un’intesa per la definizione, su base consensuale da parte dei Paesi coinvolti, del luogo dove sbarcare i migranti soccorsi aldilà delle acque libiche.

L’obiettivo è fare della Libia un Paese dotato di proprie capacità marittime. La Marina di Gheddafi, in parte addestrata in Italia, cercava di fare del suo meglio. Non ci sono alternative alla speranza che la nuova Libia, grazie all’Ue, all’Italia, a Malta ed alle sinergie con i Paesi confinanti, riacquisti ora il controllo delle coste e del mare: questo è il presupposto per il conseguimento di quell’integrità territoriale che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in più risoluzioni, continua a perseguire.

Fabio Caffio è Ufficiale della Marina militare in congedo, esperto in diritto marittimo.

venerdì 10 febbraio 2017

Il servizio militare obligatorio di 19 mesi.

Donne e sicurezza internazionale
Norvegia, servizio militare unisex 
Ester Sabatino
27/01/2017
 più piccolopiù grande
La Norvegia ha reso obbligatorio il servizio militare femminile per tutte le donne di età compresa tra i 19 e i 44 anni. Proposto in Parlamento nel 2014 sotto iniziativa del ministro della Difesa norvegese Ine Eriksen Søreide, il servizio militare universale obbligatorio, con durata di 19 mesi, è operativo dall'estate 2016.

Staffetta di 5 donne a capo della Difesa 
Nel 2015 il Ministro della Difesa aveva sottolineato come fosse tangibile la necessità dell'esercito di operare una riforma del personale militare per poter utilizzare al meglio gli armamenti altamente tecnologici impiegando il personale maggiormente adatto all'utilizzo del sistema d'arma specifico.

In tal modo, disponendo l'esercito di un bacino di reclute maggiormente variegato, il sistema di difesa norvegese risulta più atto a formarsi adeguatamente per far fronte alle sfide nazionali e internazionali. Il motivo di questa decisione risiede dunque nella volontà di poter avere accesso alle capacità migliori dalla propria popolazione, indifferentemente dal sesso del cittadino, puntando ad avere circa il 20 per cento di donne nel 2020.

Inoltre, la decisione approvata con larga maggioranza in parlamento (solo 6 voti contrari su 102) di estendere il servizio militare obbligatorio anche alle donne è volta a facilitare l'eguaglianza di genere con un occhio attento alle pari opportunità.

La decisione di estendere l’obbligatorietà del servizio militare alle donne arriva in un Paese che dal 2001 ha posto alla guida del proprio ministero della Difesa una donna. Negli ultimi 16 anni il ministero è stato guidato da cinque donne e ciò ha certamente facilitato la decisione nel senso di permettere al sesso femminile pari opportunità ad ogni livello.

Ad ogni modo, è da sottolineare il fatto che tale decisione non andrà ad incidere sul numero totale di coscritti, bensì sulla loro composizione. Pertanto, solamente un sesto degli uomini e delle donne rientranti nella fascia d’età di coscrizione può essere effettivamente integrato nelle forze armate.

Il servizio militare obbligatorio mantiene pertanto una parte di volontarietà, consentendo di reclutare primariamente le persone effettivamente interessate alla vita militare, pur dovendo gli altri rimanere a disposizione in caso di necessità, risolvendo in tal modo problemi legati ai costi di gestione e al mantenimento delle Forze Armate.

Ciononostante, non sono mancate le critiche sul merito e sulle ripercussioni pratiche della decisione parlamentare norvegese. L’associazione in difesa dei diritti delle donne, Norsk Kvinnesaksforening si è battuta contro il servizio obbligatorio femminile facendo leva sul concetto che uguaglianza dei diritti non significa dover necessariamente considerare uomo e donna uguali in tutto e per tutto.

Secondo l’associazione, nel processo decisionale bisognerebbe tener conto delle necessità femminili e pensare a soluzioni ottimali per permettere a chi nell’esercito di poter, eventualmente, portare avanti una gravidanza o di poter altresì accedere alle più alte cariche nelle Forze Armate, ancora per la maggior parte dei casi appannaggio maschile.

Altro punto contrario alla decisione attiene alle soluzioni dei dormitori misti (due donne e quattro uomini per stanza) dell’esercito norvegese e a casi riportati di aggressione verbale e fisica subita dalle giovani reclute donne norvegesi.

Donne ed esercito, altro passo verso la parità di genere
La Norvegia è l’unico Paese europeo e primo Paese Nato ad aver deciso di estendere il servizio militare obbligatorio alle donne. Più spesso si è parlato invece della possibilità per le donne di arruolarsi volontariamente nell’esercito, seppur questa decisione sia arrivata in momenti diversi tra i Paesi europei.

Prima delle rispettive legislazioni nazionali in merito, le donne avevano diritto di accedere ai ranghi dell’esercito solo ed esclusivamente per posizioni di assistenza medica e in qualità di membri delle bande dell’esercito. Successivamente però ci si è resi conto del valore aggiunto della presenza femminile tra i ranghi dell’esercito, arrivando a una generale, graduale apertura del mondo militare.

Oltre che a costituire un valore aggiunto, la presenza delle donne nell’esercito rappresenta un diritto conquistato verso una parità di genere. In tal senso si espresse la sentenza C-285/98 della corte di giustizia europea in Lussemburgo adita da un giovane cittadina tedesca dopo aver visto il diritto di accedere alla carriera nelle forze armate esserle negato non perché non idonea, ma in quanto donna. La giurisprudenza derivante dalla sentenza del 2000 ha quindi regolato la possibilità per le donne di arruolarsi, oggi norma in Europa.

Leva femminile: imposizione o libera scelta?
Tra i maggiori stati europei tutti permettono alle donne la possibilità di arruolarsi volontariamente. In Italia l’ingresso delle donne nelle forze armate è possibile dal 2000, con approvazione della legge n. 380 del 20 ottobre 1999.

La Francia invece, dove le donne detengono il diritto formale dal 1972 ma dove l’abolizione dei limiti all’ingresso di alcuni ranghi arriva nel 1998, è il Paese europeo a detenere la più alta percentuale di donne nell’esercito.

Anche nei Paesi del vecchio continente nei quali permane la leva obbligatoria si decide di optare per la sola coscrizione maschile lasciando facoltà di scelta alle donne - avviene in Svizzera, in Austria, o in Lituania che ha recentemente reintrodotto il servizio militare obbligatorio.

L’unico Paese che potrebbe optare per la coscrizione militare universale è la Svezia, ma una decisione è da attendersi non prima del 2018.

Data la novità della coscrizione universale obbligatoria norvegese, probabilmente è ancora presto per parlare di storture nel percorso verso la parità di genere in ambito militare. Certo, tra i Paesi con il servizio militare obbligatorio la Norvegia è l’unico ad estenderlo alle donne: avanguardista o eccessivo?

Ester Sabatino è Junior Fellow presso il programma Sicurezza e Difesa dello IAI (@Ester_Sab1).

Attenti a mangiare!

Food terrorism 
La minaccia terroristica arriva in tavola
Mariagrazia Alabrese
29/01/2017
 più piccolopiù grande
Il rischio di ‘bioterrorismo’ - vale a dire del rilascio intenzionale di microrganismi patogeni per provocare panico, terrore, morte o malattie, al fine di rivendicazioni politiche, religiose o economiche - è uno dei pericoli più temuti che di tanto in tanto rimbalza nelle notizie dei media.

La minaccia relativa alla contaminazione dei cibi che mangiamo rientra in questo quadro e anche se non riguarda esattamente il nostro Paese, proviene da un gruppo ‘eco-terrorista’ nato una quindicina di anni fa proprio in Italia e che si è diramato in varie parti del mondo, tra le quali la vicina Grecia.

Green Nemesis 
La Federazione anarchica informale-Fronte Rivoluzionario internazionale (Fai-Irf) aveva minacciato di boicottare alcuni prodotti delle multinazionali Coca-Cola e Nestlè, manomettendo le bottiglie e immettendovi acido cloridrico già nel dicembre 2013, quando aveva causato il ritiro delle bevande dagli scaffali dei negozi di alcune città greche.

Nel dicembre 2016 la gamma dei prodotti presi di mira sembra essersi ampliata, includendo anche insalate, passate di pomodoro, maionese, latte e prodotti Unilever e Delta. La minaccia è ancora quella di immettere sul mercato prodotti contaminati con cloro e acido cloridrico senza che le confezioni risultino manomesse.

L’obiettivo dell’organizzazione anarchica, nell’ambito del Progetto ‘Green Nemesis’ non è quello di colpire i consumatori, ma di dare luogo ad un sabotaggio economico delle multinazionali e dei grandi gruppi bersaglio dell’azione, considerati responsabili di fare profitti sfruttando i lavoratori, anche minori di età, e di essere tra le società più inquinanti del mondo.

La reazione dei soggetti economici colpiti è stata immediata. In un comunicato congiunto, Coca-Cola, Nestlè e Unilever hanno elencato i prodotti ritirati dal mercato nell’area interessata e dato notizia di aver attivato, ciascuna di esse, un numero verde per fornire informazioni ai consumatori.

Food terrorism e agroterrorism
Il food terrorism è definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in un documento del 2002 dal titolo “Terrorist Threats to Food: Guidance for Establishing and Strengthening Prevention and Response Systems” come un atto o una minaccia di contaminazione deliberata di cibo destinato al consumo umano mediante l’impiego di agenti chimici, biologici o radiologici e al fine di causare malattie o morte della popolazione civile e/o di turbare la stabilità sociale, economica o politica.

L’agroterrorism, secondo la definizione adottata anche dall’Fbi, è rappresentato dall’introduzione deliberata di una patologia animale o vegetale allo scopo di generare paura, causare danni economici o minacciare la stabilità sociale.

Il cibo, dunque, può ben essere un veicolo per atti terroristici finalizzati a scopi politici, come nel caso delle insalate contaminate con la salmonella nello stato dell’Oregon in occasione di elezioni locali nel 1984, o, come nel più recente caso greco, usato allo scopo di compiere sabotaggi economici di gruppi commerciali. Tali azioni terroristiche, inoltre, possono interessare ogni anello della catena alimentare, dai campi alla tavola.

Quali strumenti da parte del diritto agroalimentare?
Il caso della minaccia in Grecia ci offre l’occasione di svolgere alcune considerazioni sugli strumenti giuridici attualmente in essere per affrontare situazioni di tal genere. La regolamentazione in materia agroalimentare, spesso assai complessa e dettagliata in molti Paesi del mondo, ha, tra l’altro, il ruolo di garantire alimenti sani e sicuri ai consumatori e di permettergli di compiere scelte informate.

Esistono, dunque, strumenti posti a tutela della sanità del cibo immesso sul mercato: vi è da chiedersi se risultano adeguati nell’ipotesi di un attacco di food terrorism.

Il recente Food Safety Modernization Act, atto normativo in materia di sicurezza alimentare emanato negli Usa nel 2011 prevede, tra le sue regole di esecuzione, delle mitigation strategies finalizzate a proteggere gli alimenti proprio da ‘adulterazioni intenzionali’.

Tra le azioni previste vi è la preparazione da parte degli operatori del settore alimentare di un food defense plan, secondo una procedura che ricalca l’Haccp, vale a dire quel sistema per il quale le imprese agroalimentari identificano, valutano e controllano i punti critici di possibile rischio di contaminazione nei propri processi produttivi.

La disciplina dell’Unione europea, Ue in materia di food safety è certamente una delle più avanzate al mondo. La sua architettura poggia sul Reg. 178/2002 ed è completata da una serie di atti normativi, tra i quali in primis quelli che formano il c.d. “pacchetto igiene”.

Tale strumentario comprende, tra l’altro, il sistema di autocontrollo Haccp che si è menzionato, regole stringenti di tracciabilità dei prodotti dal campo alla tavola e un efficace sistema di allarme rapido che permette, nell’ipotesi in cui vi sia il rischio che un alimento o un mangime comporti un grave pericolo per la salute umana, per la salute degli animali, o per l’ambiente, di adottare misure di emergenza quali, ad esempio, il ritiro del prodotto dal mercato.

Si tratta, dunque, di norme che si stanno dimostrando adeguate per le ipotesi di contaminazione accidentale, ma che, in effetti, non sono rivolte a contaminazioni intenzionali, come avviene nei casi di food terrorism.

Per tale ragione, probabilmente, sarebbe necessario riflettere sull’opportunità di introdurre, anche nell’Ue misure di food defense, volte cioè alla protezione dei prodotti alimentari da alterazioni intenzionali dovute ad agenti biologici, chimici, fisici o radiologici, che al momento rappresentano solo misure volontarie alle quali aderiscono, ad esempio, gli operatori del settore alimentare che vogliano esportare negli Usa.

Mariagrazia Alabrese è ricercatrice in diritto agr