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sabato 31 maggio 2014

Toscana: relazioni economiche con la Cina

Cinesi in Italia
Il dragone sommerso a Prato
Marco Sanfilippo
07/04/2014
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Un centro di ricerca a Prato per lo scambio tecnologico con la Cina nel settore tessile e dei nuovi materiali. Una collaborazione con alcune delle maggiori università e centri di ricerca cinesi. Un volo diretto Pisa-Shangai per collegare, senza intermediari, la storia del tessile italiano con una delle più importanti città dell’Asia e con la vicina Zhejiang, una delle più attive provincie della Repubblica Popolare nel campo dell’abbigliamento.

Sono i progetti che la Regione Toscana e le amministrazioni di Pisa, Prato e Firenze stanno mettendo in campo per dare sempre più corpo e basi legali a una partnership tanto proficua quanto problematica, che oggi ancora divide nell’analisi dei vantaggi e dei danni arrecati al settore tessile italiano dall’avvento del “Made in Italy cinese”.

Processo di agglomerazione
La prima vera ondata migratoria cinese a Prato si registra intorno all’inizio degli anni Novanta. Ciò coincide con una fase di declino e successiva ristrutturazione del distretto tessile, dovuta a una crisi del tipo di specializzazione locale (la lavorazione della lana rigenerata) e a una successiva ripresa accompagnata dallo sviluppo di un comparto a minor valore aggiunto (quello della maglia), che ha portato con sé un incremento della domanda di forza lavoro poco qualificata, specialmente per l’attività di cucitura.

Attratti dalla possibilità di inserirsi in un comparto lasciato libero dai lavoratori locali e caratterizzato dalla semplicità del processo produttivo e dal basso capitale necessario per mettersi in proprio, molti cinesi provenienti da altre parti d’Italia o d’Europa o direttamente dalla Cina (specialmente dalla cintura della città di Wenzhou, provincia dello Zhejiang) diedero vita a un rapido processo di agglomerazione, che nel giro di pochi anni ha visto aumentare esponenzialmente sia il numero di individui che il numero di nuove imprese.

Pronto moda
A livello imprenditoriale, è stato osservato come l’ascesa cinese a Prato sia interessante perché non va ad inserirsi all’interno della specializzazione che più caratterizzava il - distretto - quella tessile - ma in un tipo di produzione al tempo minore - l’abbigliamento - che si sviluppa su larga scala proprio grazie all’arrivo dei cinesi.

Ed è soprattutto grazie all’arrivo dei cinesi, tra l’altro, che a Prato si sviluppa un nuovo sistema produttivo, quello del cosiddetto “pronto moda”, che meglio si adatta alle nuove dinamiche dei mercati internazionali.

Ben presto, i primi gruppi di cinesi seppero crescere trasformandosi da semplici sub-fornitori a basso costo per le imprese locali a vere e proprie piccole imprese finali in contatto diretto con il mercato. L’esempio di questi primi nuovi imprenditori ha messo in moto un processo imitativo da parte di altri piccoli fornitori e nel giro di poco tempo ha sviluppato un vero e proprio modello di divisione del lavoro a livello locale che ha coinvolto un numero ancora maggiore di imprese cinesi.

Tra la fine degli anni Novanta e gli anni più recenti il numero di imprese cinesi è quasi quintuplicato, non solo grazie a un nuovo incremento di imprese finali e sub-fornitori nel settore, ma anche grazie allo sviluppo di attività complementari, specialmente nei servizi al commercio.

Lavoro sommerso
Oggi, a oltre vent’anni dall’insediamento cinese a Prato, molto ancora si dibatte sugli effetti economici, sulla componente sommersa e sulle questioni legate all’integrazione. Riguardo all'impatto economico, si rilevano almeno due tesi contrapposte: la prima è che l’arrivo dei cinesi a Prato abbia contribuito in modo significativo al declino del sistema produttivo locale; la seconda è che - al contrario - proprio grazie all’arrivo dei cinesi il distretto sia riuscito a ristrutturarsi in modo tale da poter affrontare al meglio le dinamiche dei mercati globali - e che quindi l’esistenza stessa del comparto sia stata salvata dall’arrivo dei cinesi.

Come spesso accade, la verità sta nel mezzo, ed è molto più complessa di quanto si possa derivare da queste semplici proposizioni. La componente “sommersa” della presenza cinese - quella delle migliaia di lavoratori giunti illegalmente (stimati in circa 7.000 unità) e impegnati in attività lavorative fuori controllo e spesso in situazioni estreme - è innegabilmente il fulcro della questione. È soprattutto a causa del sommerso che le statistiche tradizionali non sono finora riuscite a quantificare il peso reale della quota cinese sull’economia di Prato.

A questo riguardo, è da segnalare un recente lavoro a cura di un gruppo di ricercatori dell'Irpet che - combinando statistiche ufficiali con metodi di stima basati sul consumo delle risorse (come la quantità di acqua utilizzata nel processo produttivo) - ha stimato che l’attività delle aziende cinesi contribuisca per 14,3% della produzione totale e per il 10,3% del valore aggiunto della provincia, con un picco del 45% per il solo settore tessile.

Oltre agli aspetti prettamente economici, il caso di Prato merita attenzione anche per gli aspetti legati al processo di integrazione sociale di una comunità cinesi oggi tra le più grandi d’Europa. Se fino a poco tempo fa vi era una netta separazione tra la comunità locale e quella cinese, l’espandersi all’interno del secondo gruppo di una generazione di nuovi nati nella provincia (un quinto degli attuali residenti, non potrà far altro che contribuire positivamente al processo di integrazione culturale, sociale ed economica negli anni a venire.

Articolo pubblicato su OrizzonteCina, rivista online sulla Cina contemporanea a cura di Torino World Affairs Institute e Istituto Affari Internazionali.

Marco Sanfilippo, research fellow, Robert Schuman Centre for Advanced Studies, Istituto Universitario Europeo.
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venerdì 23 maggio 2014

Irlanda: il voto regionale in un paese uscito dalla crisi. Indicazioni per l'Italia?

lezioni in Irlanda
La tigre celtica torna a ruggire
Silvia Merler
22/05/2014
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A tre anni dall’inizio della crisi dell’euro, la tigre celtica torna a ruggire. Le elezioni regionali - che avverranno in contemporanea con le elezioni europee - saranno importanti per capire cosa è cambiato negli ultimi tre anni.

Strategia del rigore vincente
Paese forse tra i più fieri della propria identità nazionale, nel 2010 l’Irlanda è entrata nel programma di aggiustamento macroeconomico gestito da Fondo monetario internazionale (Fmi), Commissione europea (Ce) e Banca centrale europea (Bce). Il programma prevedeva 85 miliardi di aiuti da usare per ripagare il debito pubblico in scadenza e finanziare il deficit di bilancio. In cambio degli aiuti, l’Irlanda - ormai esclusa dai mercati internazionali - ha accettato la condizionalità decisa dalla cosiddetta “Troika” cedendo di fatto parte considerevole della propria sovranità in termini di politica economica.

A distanza di tre anni, tuttavia, la strategia del rigore e delle riforme sembra aver avuto successo. Il programma di aggiustamento macroeconomico irlandese si è concluso a dicembre e il paese è tornato sul mercato con le proprie gambe, senza bisogno di alcun “paracadute”. Le prospettive di crescita per i prossimi anni sono buone: le ultime stime di maggio della Ce prevedono un tasso di crescita del Pil in termini reali di 1.3% per il 2014 e 3% per il 2015.

La Ce vede anche un continuo aumento del saldo delle partite correnti che, dopo aver toccato un minimo di -10% del Pil nel 2007, è tornato positivo nel 2010 e dovrebbe superare il 6% del Pil quest’anno.

Buone notizie anche sul fronte della finanza pubblica. Se le previsioni saranno rispettate, il deficit di bilancio dovrebbe ridursi al -4.2% del Pil nel 2015 e il debito pubblico diminuirà già a partire dal prossimo anno. Uno scenario macroeconomico abbastanza promettente che spiega il favore con cui gli investitori internazionali hanno accolto la prima nuova emissione di titoli di stato irlandesi, a gennaio di quest’anno.

Sistema bancario in bilico
Benché l’emergenza economica sembri risolta, restano però diverse zone d’ombra sul futuro irlandese. Il paese è ancora appesantito da un elevato debito privato, accumulato nel corso dei dieci anni precedenti la crisi economica e ormai superiore al 300% del Pil. A questo si aggiunge un elevato debito pubblico, scaturito dai costosi salvataggi bancari del 2009, quando sistema finanziario irlandese era tanto vicino al collasso da far tremare l’intera eurozona.

Ed è proprio la situazione del sistema bancario che resta incerta e potrebbe pesare sulla ripresa irlandese. Dopo quattro anni di crisi economica, la profittabilità delle banche irlandesi è minima. A fine 2013, il Fmi stimava che circa il 26% dei prestiti erogati dalle banche irlandesi fosse in sofferenza, con conseguenze negative importanti sull’erogazione di nuovo credito al settore privato. Ripristinare la qualità degli attivi bancari è quindi la sfida fondamentale per sostenere la ripresa irlandese.

La questione forse più pressante, in ottica elettorale, è l’impatto sociale della crisi. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto un picco del 15% nel 2011 ed è ancora fermo al 12%, mentre il tasso di disoccupazione giovanile è al 26%. Numeri che potrebbero sembrare bassi, rispetto per esempio a Spagna e Grecia, ma che si spiegano tenendo conto del fatto che l’Irlanda è tradizionalmente un paese di forte emigrazione. Tra il 2009 e il 2013, circa 300 mila persone hanno lasciato il paese (di cui quasi 200 mila cittadini Irlandesi) e saldo migratorio netto è tornato negativo per la prima volta da anni.

Speranza europea
Gli Irlandesi che si recheranno alle urne sono reduci da quattro anni di profonda crisi economica che si è via via incancrenita, assumendo i contorni di un generalizzato malessere politico e sociale. Il pericolo - temuto da molti alla vigilia delle elezioni - è che l’esercizio democratico Europeo si trasformi in un eclatante rifiuto dell’Europa da parte dei sui cittadini. E il rischio è certamente più elevato in Paesi come Irlanda, Grecia e Portogallo che, nel corso programma di aggiustamento macroeconomico, hanno visto il volto per certi versi più duro dell’Europa.

In Irlanda, gli effetti della crisi a livello politico si sono già notati in occasione delle elezioni del 2011 che hanno visto la sconfitta del governo in carica al tempo dell’ingresso del paese nel programma di aggiustamento macroeconomico. Fianna Fàil, partito maggioritario per molti anni, è uscito infatti delegittimato da quello che è stato un vero e proprio tracollo elettorale.

L’uscita dal programma di aiuti significa la riconquista della propria sovranità in termini di politica economica. Per l’Europa, tanto criticata in questi anni per la gestione della crisi, l’Irlanda rappresenta invece la speranza di poter ricevere a posteriori una legittimazione.

Sembra la storia di un salvataggio riuscito e del successo della strategia di Bruxelles e, almeno esteriormente, è il lieto-fine di cui Bruxelles ha un disperato bisogno. Ma i rischi che tengono in sospeso il Paese non sono pochi.

C’è la questione irrisolta di un sistema bancario ancora appesantito dai prestiti in sofferenza e quella, ancora più importante, di come ristrutturare e diversificare in maniera sostenibile un’economia che fino alla crisi si basava principalmente sul settore finanziario.

E poi c’è il nodo irrisolto della disoccupazione, con gli effetti che ne derivano sulla coesione sociale e politica. Dietro l’apparenza di un’economia rimessa in piedi, infatti, cinque anni di crisi hanno lasciato ferite profonde nella società, mietuto vittime politiche e alimentato gli estremismi. Dopo essere tornata a ruggire, la tigre celtica potrebbe anche mordere.

Silvia Merler è affiliate fellow a Bruegel, think tank di politica economica a Bruxelles. In precedenza ha lavorato come analista economica nella DG Affari Economici e Finanziari della Commissione Europea. Ha laurea triennale e master in Economics and Social Sciences ottenuti all'università Bocconi di Milano.
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mercoledì 21 maggio 2014

Il primo volo del MC-27L Praetorian dell'Aermacchi


Italia
Alenia Aermacchi ha annunciato di aver completato il primo volo di prova del MC-27J Praetorian, versione multimissione del trasporto tattico C-27J Spartan. Presentato durante l'edizione 2012 del Salone Aeronautico di Farnborough, il Praetorian è sviluppato da Alenia Aermacchi con la collaborazione dell’azienda statunitense ATK, per la realizzazione dei sistemi di missione e di supporto aria-suolo, e dell'italiana Selex ES, per gli apparati di comunicazione e data link.
Il velivolo testato ha subito numerose modifiche, al fine di aggiungere le previste capacità C2, ISR, SAR, di ritrasmissione dei segnali radio e di appoggio al fuoco, diretto e indiretto. Sotto il muso, ad esempio, è stata installata una torretta elettro-ottica infrarosso L-3 Wescam MX-15Di, così come sono state apportate le modifiche hardware e software necessarie all'implementazione delle funzionalità di data link Link-16 e dei nuovi sistemi di comunicazione criptati.
Il velivolo è stato inoltre modificato per la futura installazione dei pallet modulari roll-on/roll-off di ATK e di un’apposita porta laterale scorrevole, studiata per il brandeggio del cannoncino GAU-23 da 30mm. Alenia è intenzionata inoltre ad espandere le capacità offensive del Praetorian, tramite l'integrazione di una vasta gamma di munizioni di precisione, come la GBU Viper Strike di MBDA e il Griffin AGM di Raytheon, da installarsi sotto le ali o da alloggiare in appositi tubi di lancio interni.
In occasione del Dubai Airshow 2013, l’Aeronautica Italiana è stata identificata come il cliente di lancio del Praetorian, con un requisito iniziale prima di tre e poi di sei Spartan, da convertire entro il 2016. Potrebbero essere "elevati" allo standard MC-27J anche i sette C-27J che saranno presto trasferiti dall’USAF all'AFSOC: la notizia manca di ufficialità, sebbene Alenia Aermacchi abbia confermato di aver recentemente ragguagliato l’AFSOC circa le capacità del Praetorian. Per il MC-27J è stato individuato dalla stessa Alenia Aermacchi un mercato potenziale di circa 50 velivoli, con particolare riferimento a Medio Oriente, Sudamerica e Asia.

Fonte CESI Roma

venerdì 16 maggio 2014

Uno sguardo in Asia

Un potere d'acquisto


versione originale in lingua inglese: Traduzione Testo automatica in lingua italiana)

Sono a Pechino questa settimana per il 2014 la Cina Forum The Unit dell'Economist Intelligence, e qualche pioggia di Domenica ha eliminato i cieli. Molti dicono che i cieli economiche sulla Cina sono molto più scura di quella che sto vedendo questa settimana, alimentata da una bolla del credito in un sistema bancario travagliato. Ci sono certamente alcuni problemi, ma a conti fatti io sono ancora positivo outlook della Cina. Tasso di crescita della Cina sta rallentando - un passo giusto e necessario - ma è ancora molto veloce per gli standard globali e vi è abbondanza di ripresa economica ancora da fare.
 
Programma confronto internazionale della Banca Mondiale ha recentemente pubblicato un aggiornamento alla sua parità di potere d'acquisto (PPP) stime del PIL, che mirano a correggere per il fatto che i beni e servizi non commerciabili sono più economici in alcuni paesi e quindi il potere d'acquisto c'è di conseguenza maggiore. Le ultime stime della Cina a breve distanza sniffing degli Stati Uniti nel 2011, ed entro il 2014 si potrebbero avere già superato su questa misura (che ha i suoi problemi). Mentre il settore dei servizi - in genere meno negoziabili al momento - si apre, si aspettano la divergenza tra mercato e di cambio PPP tassi di cadere. Questa apertura porterà anche una nuova serie di opportunità per le imprese straniere in Cina, oltre a fornire una sfilza di nuovi concorrenti.  
 
Quali parti del settore dei servizi in Cina trovi sono più interessanti per gli investitori stranieri?   Fatemi sapere su Twitter @ Baptist_Simon o via e-mail su simonjbaptist@eiu.com.   

Cordiali saluti, Simon Battista Chief Economist e Direttore Regionale Asia



Fonte Economic Intelligence UNit 13 maggio 2014

martedì 13 maggio 2014

Elezioni Europee: verso il voto del 25 maggio

Elezioni europee
La valanga euroscettica dal debole effetto
Eleonora Poli
07/05/2014
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Alla vigilia delle elezioni del Parlamento europeo (Pe) gli scenari politico-istituzionali sembrano lungi dall’essere positivi. Mentre il 69% degli europei non si fida delle istituzioni, i partiti euroscettici potrebbero ottenere il 31% dei voti ed acquisire un sostegno sufficiente a plasmare le politiche comunitarie in chiave anti europea.

Blocco euroscettico liquido
Eppure, per essere in grado di portare avanti le loro istanze anti-Ue, questi partiti non devono solo vincere le elezioni, ma essere anche in grado di coalizzarsi. All’interno del Pe le posizioni euroscettiche sono state finora e per lo più rappresentate dall’Europe of Freedom and Democracy group (Efd), sostenuto in prima linea (ma non solo) dall’Independence Party inglese (Ukip) e dai Veri Finlandesi, o Perussuomalaiset (Ps).

Tuttavia, durante la scorsa legislatura i membri di suddetto gruppo hanno dimostrato scarsa volontà a cooperare, registrando un grado di coesione interna pari al 48.97%. Anche il Fronte nazionale (Fn) francese e il Partito della libertà (Pvv) dei Paesi Bassi, insieme al Partito della Libertà austriaco (Fpo), il belga Vlaams belang (Vb), la Lega nord (Ln) e i Democratici svedesi (Sd) sono decisi a creare una coalizione, l'Alleanza europea per la libertà (Eaf).

Inoltre, risulta essere alquanto emblematico che lo statuto di Eaf lasci libere le parti di non concordare le loro reciproche posizioni. L’assenza di un comune accordo tra gli aderenti al gruppo potrebbe minarne non solo la legittimità, ma anche la capacità di influenzare le votazioni parlamentari.

Partendo da queste basi, la formazione di un grande blocco euroscettico appare difficile da realizzare e risulta oltremodo impossibile nel caso del Movimento 5 stelle (M5s), uno dei principali attori sulla scena euroscettica. Definendo il Movimento un’ associazione dotata di un non-statuto e non guidata da ideologie partitiche, Beppe Grillo ha infatti più volte dichiarato che M5s non parteciperà a nessuna alleanza. Sebbene i Grillini possano senza dubbio apparire come un caso isolato, una maggior cooperazione risulta essere difficoltosa anche tra partiti appartenenti alla stessa ala ideologica.

Per esempio, il Fn di Le Pen si è distanziato dal greco Alba Dorata e dal movimento per un’Ungheria migliore, Joobik, definendoli neo-nazisti. L’Ukip ha invece rifiutato di allearsi con lo stesso Fn, viste le sue posizioni antisemitiche e omofobiche. Inoltre, una possibile cooperazione tra l'Alternativa per la Germania (Afd) e Ukip potrebbe essere compromessa dalla retorica populista e anti-immigrazione sostenuta dal partito britannico.

Rinegoziazione dei vincoli Ue
Nonostante tali differenze, la rinegoziazione dei vincoli economici e fiscali dettati dall’Ue o l’uscita dall’euro potrebbero divenire la spinta necessaria a ricompattare il fronte euroscettico. Per raggiungere obiettivi di tale portata occorre però che i partiti concordino un processo di riforme economiche e istituzionali unico.

Tuttavia, Ukip e Pvv sostengono trasformazioni in chiave neo-liberale che mal si conciliano con le strategie protezionistiche promosse dal Fn. Partiti come Afd, Ps e M5s, che non sono notoriamente contrari al mantenimento di un’unione politica, sostengono invece una maggiore cooperazione tra istituzioni e cittadini tramite mezzi di democrazia diretta. Ciò nonostante, M5s, diversamente dagli altri movimenti, si sta anche battendo per l'abolizione del Fiscal Compact e della clausola sul pareggio di bilancio.

Tali divergenze risulteranno maggiormente inconciliabili se si considerano i diversi interessi nazionali e regionali. I partiti del Nord Europa, come Pvv, Ukip, Afd e Ps accusano i paesi del Sud di aver ingiustamente beneficiato di aiuti europei, attingendo alle riserve economiche dei loro stati. Diversamente, gruppi come Fn e M5s e Alba dorata biasimano la Germania per essersi fatta promotrice di quelle politiche di austerità e rigore che stanno minando le basi delle economie nazionali.

Argine filoeuropei contro lo smantellamento dell’Ue 
Anche se i gruppi euroscettici dovessero aggiudicarsi il 25% dei seggi, la loro influenza effettiva potrebbe essere inferiore a quanto previsto, vista la discordanza di interessi e posizioni ideologiche. D'altra parte, gli scenari che descrivono un catastrofico smantellamento dell’Ue potrebbero altresì spingere i partiti tradizionali filoeuropei a collaborare in maniera più estesa, rendendo le proposte anti-Ue di difficile successo.

Già durante la scorsa legislatura, l’assenza di una maggioranza assoluta all’interno del Pe ha portato gruppi parlamentari tradizionali come i popolari del Ppe, Socialdemocratici di S&D, Verdi e Liberali di Alde a cooperare in materia legislativa nel 71,5% dei casi (in media).

Inoltre, i loro membri sono stati molto disciplinati nel concordare con la linea politica generale, definita dai loro gruppi di riferimento (Verdi 94,61%, S&D 91,65%, Alde 88,25%, Ppe 92,50%). Questi dati sono molto rilevanti se si considera che, a seguito del Trattato di Lisbona e della crisi dell'Eurozona, il Pe ha promosso una serie di riforme economiche (come l’Unione bancaria, il 6 pack e non da ultimo il 2 pack) che hanno fortemente rafforzato l’integrazione europea.

In questa prospettiva, anche se il ruolo dei partiti euroscettici non appare allarmante, esso non va comunque sottovalutato. In definitiva, solo l' attuazione di politiche comunitarie in grado di favorire una più profonda cooperazione tra Paesi membri, una crescita economica comune e quindi un maggior benessere sociale potrà minare il supporto elettorale concesso ai movimenti anti-Ue.

Eleonora Poli è ricercatrice dello IAI.
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domenica 4 maggio 2014

IL problema della sicurezza energetica e l'Italia

Sicurezza energetica 
Gas, Italia pivot per le nuove strategie europee 
Daniele Fattibene
24/04/2014
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Con la crisi ucraina, il tema della sicurezza energetica è tornato prepotentemente al centro del dibattito italiano ed europeo. L’Istituto Affari Internazionali ha riflettuto sul tema, anche nella presentazione del suo Rapporto sulla politica estera italiana in vista del semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione europea (Ue).

Diversificazione energetica europea 
Come stabilito nella Strategia energetica nazionale (Sen), l’Italia ambisce a ricoprire un ruolo strategico nei piani di diversificazione energetica europea. Tuttavia, la recente decisione di congelare il progetto del gasdotto Tgl - in grado di connettere Germania e Italia via Austria - e il rischio che la crisi in Ucraina possa far definitivamente tramontare il progetto di realizzazione del South Stream, impongono a Roma la ricerca di alternative concrete.

A decidere di bloccare il progetto del gasdotto Tgl è stato il Consiglio di amministrazione del gadotto stesso, capeggiato e dalla tedesca EOn che è il socio di maggioranza.

Approdo pugliese per il gasdotto Tap
Diversificazione energetica è sinonimo di maggiore indipendenza dalle politiche dei principali paesi fornitori, Gazprom in primis.

Molti Paesi - soprattutto in Europa centrale e orientale - sono infatti ancora fortemente - se non totalmente - dipendenti dalla Federazione Russa. Perciò, la realizzazione del gasdotto Tap, proveniente dall’Azerbaijan, rappresenterebbe una prima - seppur ridotta - concreta risposta al problema della dipendenza energetica europea.

L’Italia è direttamente interessata dal progetto, dal momento che si prevede l’approdo del gasdotto in Puglia. Tuttavia, la nostra credibilità dipende dalla capacità di proporre una soluzione rapida e il più possibile condivisa con le popolazioni locali che osteggiano fortemente il progetto.

Partnership energetica con l’Iran
L’Iran possiede, dopo la Russia, le maggiori riserve di gas al mondo. Il ricco giacimento di South Pars fa gola a molti, compresa l’Ue. Tuttavia, per sfruttare questo potenziale occorre un allentamento del regime di sanzioni economiche nei confronti di Teheran e una riabilitazione internazionale del paese.

Se Teheran sarà in grado di realizzare gli investimenti necessari per ammodernare il sistema energetico nazionale diventerà un partner fondamentale per l’Ue, anche nell’ottica della stabilizzazione politica di Siria, Iraq e Afghanistan. Il paese sarebbe eventualmente in grado di allacciarsi al Southern Corridor, connettendo l’Ue a Turchia, Mediterraneo orientale e Asia centrale.

Cipro e Turchia avvicinate dal gas dell’East Med
La scoperta di importanti giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale potrebbe favorire un allentamento delle tensioni tra Cipro e Turchia, riuscendo dove la diplomazia ha sempre fallito. Nicosia sta cercando di usare le riserve offshore di gas come leverage nei confronti di Ankara per riproporre il tema dell’unificazione dell’isola sotto l’egida dell’Onu.

Entrambi i Paesi otterrebbero dei benefici dallo sfruttamento del gas. Cipro placherebbe la crisi economica e occupazionale interna, mentre la Turchia - sempre più bisognosa di energia - potrebbe proporsi come principale acquirente e paese di transito. Tuttavia, le riserve cipriote attualmente non sembrano sufficienti a giustificare un investimento di diversi miliardi di euro per creare un’adeguata capacità di esportazione.

A tal fine, serve il sostegno e la collaborazione di attori regionali come Israele, che tuttavia punta principalmente sullo sfruttamento dei suoi giacimenti a fini domestici. L’Italia - tramite Eni - nel 2013 ha siglato un accordo con la Repubblica di Cipro per l’esplorazione di tre blocchi del giacimento di Afrodite.

Il gas dell’East Med potrebbe in futuro essere esportato attraverso il gasdotto Transanatolico (Tanap) o la rete turca gestita da Botas, per poi eventualmente approdare in Italia, agganciandosi alle strutture già pianificate per il gasdotto Tao.

Rischio Cirenaica e Sonatrach sui rifornimenti dal Magreb
Al momento però, le priorità energetiche per l’Italia e per l’Ue, anche in virtù delle tensioni con la Russia, sono orientate ai paesi del Maghreb, in particolare Libia e Algeria. Nel caso libico, la situazione critica della parte orientale del Paese, l’instabilità istituzionale e il pericoloso contrabbando di petrolio da parte dei separatisti in Cirenaica destano molte preoccupazioni per la sicurezza degli approvvigionamenti verso l’Italia.

Sul fronte algerino invece, la corruzione dilagante cha ha colpito la Sonatrach - principale azienda energetica nazionale - e la crisi socio-economico interna rendono il quarto mandato del presidente Bouteflika assai incerto. Il fondo di stabilizzazione creato nel 2000 per isolare l’economia nazionale dagli shock derivati dal prezzo del petrolio non basta a placare le critiche, che si traducono in disordini interni e sempre maggiori flussi migratori in uscita dal Paese.

Interconnessioni energetiche trans-frontaliere 
Oltre a continuare a promuovere la realizzazione di un mercato europeo dell’energia integrato che garantisca meccanismi comuni di solidarietà ed eviti l’isolamento energetico dei paesi membri, l’Italia dovrebbe promuovere una strategia europea di stabilizzazione dell’intera area.

A tal fine, occorre realizzare e rendere operativo quanto prima un sistema di interconnessioni energetiche trans-frontaliere che consenta di spostare volumi di gas anche da ovest verso est (attraverso una capacità reverse flow) in caso di crisi energetiche.

In questo quadro, il Summit del G7 dell’energia che si terrà a Roma il 5 e il 6 maggio , rappresenta un’occasione unica e imperdibile per ribadire la necessità di mantenere un dialogo costruttivo con Mosca, ma di proseguire al contempo in modo deciso verso strategie di diversificazione energetica veramente efficaci.

Daniele Fattibene sta svolgendo uno stage nell’aerea Sicurezza e Difesa dello IAI.
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Verso le elezioni europee

Chi ci rappresenta a Bruxelles 
Partiti e alleanze, il mosaico elettorale europeo
Enrico Calossi
17/04/2014
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Storicamente le elezioni europee sono state considerate di importanza inferiore a quelle nazionali. Gli elettori hanno poi spesso votato con un occhio non tanto ai temi europei quanto a quelli nazionali.

Anche questa volta molti attori politici faranno campagna soprattutto su questioni specificatamente nazionali, ma alcune novità e la dimensione continentale della crisi economica daranno maggior risalto alle questioni europee.

Come nel 2009, in Italia l’elezione avviene attraverso un sistema elettorale proporzionale con sbarramento al 4% e ogni elettore può esprimere il voto di preferenza. Un’importante novità è che, per la prima volta, cinque europartiti hanno indicato i propri candidati alla presidenza della Commissione.

Il Partito popolare europeo, Ppe, ha scelto Jean-Claude Juncker; il Partito socialista europeo, Pse, Martin Schulz; i liberaldemocratici, Alde, Guy Verhofstadt; i Verdi una coppia di deputati, il francese José Bové e la tedesca Ska Keller; e la Sinistra europea Alexis Tsipras.

Partiti italiani in campo europeo
Nel 2009 la rappresentanza italiana al Parlamento europeo (Pe) fu così distribuita: 35 eurodeputati aderirono al Partito popolare europeo (Ppe) - 29 del Popolo della libertà, 5 dall’Unione di centro e uno dalla Suedtiroler Volkspartei (Svp) - 21 ai socialisti (eletti dal Partito democratico), 9 nel gruppo Europa della democrazia e della libertà (Efd) - eletti dalla Lega Nord - e 7 nei Liberali (Alde) - eletti dall’Italia dei Valori. Nessun italiano aderì ai gruppi Conservatore, Verde e della Sinistra unitaria.

Forza Italia e Nuovo centrodestra, nonostante a livello nazionale siano su sponde diverse nei confronti del governo di Matteo Renzi, sostengono entrambi la candidatura di Juncker alla presidenza.

Nel centrosinistra, il Partito democratico, dopo aver sciolto l’ambiguità e aderito ufficialmente al Pse sostiene, con convinzione, la candidatura di Schulz.

La Lega Nord ha modificato la propria collocazione europea, spostandosi su posizioni decisamente sovraniste e anti-euro - allacciando rapporti con il Fronte nazionale francese - e ha sostituito la scritta “Padania” nel proprio simbolo con “Basta Euro”.

L’Italia dei Valori è membro dei liberali dell’Alde, ma non sembra sottolineare molto il proprio sostegno alla candidatura di Verhofstadt. L’Udc, che pur aveva superato la soglia del 4% nel 2009, si presenterà in alleanza con il Nuovo centro destra, Ncd. Svp, una lista di una minoranza etnica, è esentata dal superamento della soglia del 4%.

Altre forze, non presenti nel 2009, potrebbero giocare un ruolo di spicco durante queste elezioni. Il Movimento 5 Stelle si presenterà alle elezioni non sostenendo alcun candidato alla presidenza della Commissione e senza rapporti con altri partiti nazionali o europei.

Scelta civica sarà, insieme a Centro democratico e a “Fare per fermare il declino”, a sostegno della candidatura del liberale Verhofstadt nella lista “Scelta europea”.

A sinistra, Sel, dopo lunghe titubanze - fino al gennaio scorso era previsto l’ingresso nel Pse - ha deciso di sostenere Sinistra europea, presentandosi con Rifondazione comunista e altre sigle nella lista “L’Altra Europa con Tsipras”.

Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale sta chiedendo l’uscita dell’Italia dall’eurozona e per questo ha già dichiarato che i propri parlamentari non aderiranno più al Ppe, considerato come troppo europeista.

Infine, vista la rilevanza che hanno a livello europeo, occorre ricordare che anche gli ecologisti presenteranno una propria lista in Italia - “Green Italia” - a sostegno delle doppia candidatura Ska-Bové.

A ogni euroscettico il suo euroscetticismo
Per quanto riguarda i temi, ogni lista proverà ovviamente a spostare il dibattito su un terreno a sé favorevole. Fi e Ncd-Udc hanno posizioni diverse nei confronti del governo Renzi. Pertanto, anche se entrambe sosterranno Juncker, sottolineandone la posizione europeista e di argine nei confronti delle forze euroscettiche, obbligatoriamente marcheranno anche le proprie differenze a livello nazionale per vincere il derby all’interno dello schieramento moderato.

Il Pd sta impostando il proprio sostegno a Schulz come barriera verso gli euroscettici, ma anche come promotore di una revisione in senso più solidale del processo di integrazione.

Questa posizione è sufficiente per marcare le differenze nei confronti degli euroscettici, ma non dei Popolari. È probabile pertanto che anche il Pd sarà tentato di sottolineare i successi del governo Renzi per marcare maggiormente la differenza con i partiti della famiglia Popolare.

Gli attori accusati di euroscetticismo da Popolari e Socialisti sono il M5S, la Lega e FdI-An. Però le tre forze si dividono sul tipo di euroscetticismo: netto da parte della Lega che chiede la fine dell’euro e anche del processo d’integrazione, di media entità da parte di FdI-An, che chiede l’uscita dall’eurozona ma non dall’Unione, soft da parte del M5S che chiede un referendum sull’euro, ma anche il rafforzamento in senso federale di altri aspetti (eurobond).

Popolari e socialisti accusati di consociativismo
La lista liberale “Scelta Europea”, in linea con l’approccio di Verhofstadt, denuncerà il “consociativismo” tra popolari e socialisti. La ricetta liberale pertanto è “più integrazione”, ma all’insegna di una vera dialettica tra visioni opposte, per rimarcare la bontà delle soluzioni liberali e liberiste.

La critica dei liberali verso socialisti e popolari è parzialmente condivisa anche dai verdi e dalla sinistra. Entrambe le forze denunciano la direzione che popolari, socialisti - e anche liberali - hanno impresso all’Europa. Chiedono “più integrazione” e “più Europa”, ma secondo i verdi l’Unione dovrebbe riconvertirsi a un’economia sostenibile, privilegiando le soluzioni energetiche alternative e non inquinanti.

Per la Sinistra invece dovrebbe acquisire un profilo più sociale e denunciare tutti quei trattati, come il Fiscal Compact, che mirano a favorire la competitività a scapito dei diritti sociali e salariali dei lavoratori.

La prossima compagna per le elezioni europee sarà veramente europea se tutti, attori politici, ma anche commentatori ed elettori, ci sforzeremo di far capire la differenza fra i diversi orientamenti, evitando schematismi e semplificazioni.

Enrico Calossi è Coordinator of the Observatory on Political Parties and Representation, European University Institute, Firenze.
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Il grande assente nelle riforme costituzionali: il rapporto con l'estero

Riforma costituzionale
Il nuovo Senato, la proposta Tremonti e i rapporti con l'Ue 
Natalino Ronzitti
29/04/2014
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Nei tentativi di riforma della Costituzione che si sono succeduti nel tempo, la problematica dei rapporti internazionali non ha mai trovato uno spazio adeguato.

Addirittura nullo nella Commissione per le riforme costituzionali presieduta dal Ministro Quagliarello nel governo Letta, nonostante il mandato riguardasse la II parte della Costituzione, dove non mancano le norme di rilevanza internazionale.

Non fa eccezione, nella sostanza, neppure il recente disegno di legge governativo sulla riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione (A.S. n. 1429. Qualche riferimento ai rapporti internazionali e all’Unione europea, Ue, in verità c’è, ma è dovuto ad una toeletta istituzionale resa necessaria dalla riduzione dei poteri del Senato e dalla sua marginalizzazione in materia di procedimento legislativo).

A vivacizzare questo dibattito è stata - alla fine - anche la proposta del Senatore Giulio Tremonti sulla revisione di quell’art. 117 che si concentra sui vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.

Guerra e trattati
Il disegno di legge governativo prevede che la deliberazione dello stato di guerra, di cui all’art. 78 Cost., sia opera della sola Camera dei Deputati, senza la partecipazione del Senato.

Ma ci si è dimenticati che la deliberazione dello stato di guerra è ormai uno strumento superato e che si sarebbe dovuto cogliere l’occasione per l’inserimento di una norma che disciplinasse organicamente la fattispecie conflitto armato e l’invio delle truppe all’estero.

Parimenti si propone di riformare l’art. 80 Cost., in materia di ratifica dei trattati internazionali, spettando alla sola Camera dei Deputati l’adozione della legge di autorizzazione alla ratifica. Anche in questo caso doveva essere colta l’occasione per stabilire che il trattato ratificato, una volta entrato in vigore per il diritto internazionale, fosse fonte di diritto anche per il nostro ordinamento senza ulteriore atti di esecuzione.

In materia di decretazione di urgenza si stabilisce ( opportunamente) l’inammissibilità del decreto-legge per l’autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. Ma ci si è dimenticati di uno strumento volto a disciplinare la provvisoria esecuzione dei trattati internazionali, qualora la situazione politica internazionale richieda di farvi ricorso in attesa dell’entrata in vigore del trattato.

Costituzione e rapporti con l’Ue
Più articolata, sebbene farraginosa, nel disegno di legge, è la disciplina dei rapporti con l’Ue. Come si è detto, la funzione legislativa è esercitata dalla Camera dei deputati, tranne per le leggi di revisione costituzionale dove il procedimento resta bicamerale.

Per il procedimento legislativo ordinario, il Senato delle autonomie ha solo una competenza residuale nel senso che può, a richiesta di un terzo dei suoi componenti, disporre di esaminare un disegno di legge non costituzionale e deliberare proposte di modifica su cui la Camera si pronuncia in via definitiva (concorso legislativo semplificato).

Tuttavia, per i disegni di legge che “autorizzano la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Ue”, la Camera dei deputati può discostarsi dalle modifiche proposte solo a maggioranza assoluta dei suoi componenti (concorso legislativo rafforzato). Se ne dovrebbe quindi dedurre che per tutti gli atti legislativi diretti all’attuazione della normativa Ue (ad es. la legge europea e la legge di delegazione europea di cui alla L. 234/2012) dovrebbe valere il concorso legislativo semplificato, mentre per le leggi di ratifica di trattati relativi all’appartenenza all’Ue dovrebbe valere il concorso legislativo rafforzato.

Ma quali sono questi trattati? Sicuramente futuri trattati che sostituissero il Trattato di Lisbona, attualmente in vigore. Ma occorre ricomprendervi anche trattati, come il Fiscal compact, che sono stati stipulati separatamente? Quid per quanto riguarda la procedura di revisione del Trattato di Lisbona, di cui all’art. 48 Ue? Sicuramente la procedura di revisione ordinaria dovrebbe comportare la partecipazione del Senato a livello di concorso legislativo rafforzato, ma quale concorso legislativo (semplificato oppure rafforzato) per la procedura di revisione semplificata? L’elenco potrebbe continuare.

Il concorso legislativo rafforzato vale anche per tutti gli atti che interessano le modalità di partecipazione di regioni e province autonome in materia di rapporti internazionali o inerenti all’Unione Europea.

In particolare, come è detto nella relazione illustrativa del disegno di legge, per “le modalità di partecipazione di regioni e province autonome, nelle materie di loro competenza, alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi dell'Ue e all'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Ue e la disciplina dell'esercizio del potere sostitutivo dello Stato in caso di inadempienza; la disciplina statale dei casi e delle forme in cui le regioni possono concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato”, che interessano il Titolo V della Costituzione.

Non si è colta l’occasione per introdurre nel nostro ordinamento, sulla falsariga di altri ordinamenti europei, il referendum propositivo, per la ratifica di trattati che riguardano scelte fondamentali, quali quelli relativi all’Ue.

L’art. 117 e la proposta di legge Tremonti
Il disegno di legge si limita alla cosmesi istituzionale dell’art. 117, 1° comma, sostituendo alla dizione “comunitario”, quella più corretta, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, di “Unione europea”.

La disposizione novellata suonerebbe “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali”. Niente di nuovo. Il cambiamento di dizione era già stato ampiamente anticipato nella letteratura specialistica.

Desta meraviglia, invece, il disegno di legge costituzionale d’iniziativa del Senatore Tremonti del 31 marzo 2014, volto a ridimensionare la portata dell’art. 117, primo comma, eliminando le parole “nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, con la conseguenza che la potestà legislativa di Stato e Regioni resterebbe subordinata ai soli vincoli derivanti dalla Costituzione.

La proposta è motivata, come si evince dalla relazione illustrativa, dall’esigenza di impedire un vulnus irrimediabile alla nostra sovranità nazionale, in particolare per quanto riguarda le politiche di bilancio e i tagli alla spesa pubblica, con l’imposizione forzosa della riduzione del debito pubblico, secondo la modalità imposta da Bruxelles.

Beninteso la proposta, come lo stesso Tremonti si premura di precisare, “non è contro l’Europa, ma per la nostra dignità e per la nostra libertà”. A noi pare che il sostanziale ridimensionamento del 1° comma dell’art. 117 sia inaccettabile per più motivi:

a) In primo luogo, l’eliminazione del riferimento ai trattati internazionali priva di un ancoraggio costituzionale la superiorità del trattato rispetto alla legge interna (ordinaria), prerogativa presente anche in altri ordinamenti. Le norme del trattato prevalgono su quelle interne, non potendo tuttavia derogare alla Cost. La questione interessa non tanto (e non solo) i trattati connessi all’Ue, come il Fiscal Compact, quanto tutti gli altri trattati e, in particolare, quelli in materia di diritti umani, come la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

b) La supremazia del diritto dell’Ue è un fatto acquisito ed è stata ribadita più volte dalla nostra Corte Costituzionale. Il diritto dell’Ue prevale sul diritto interno incompatibile e può derogare le stesse norme costituzionali. Qualora si tratti di norme Ue aventi efficacia diretta o direttamente applicabili, il giudice applicherà la norma Ue; altrimenti, in caso di contrasto con la normativa interna, dovrà sollevare la questione dinanzi alla Corte costituzionale.

c) Non è vero che la supremazia del diritto Ue sia illimitata. Essa viene meno qualora la norma Ue contrasti con i principi fondamentali e inderogabili della nostra Cost. (i c.d. controlimiti, per esprimersi nel gergo giuridico), tra cui rientrano, tanto per restare nel campo economico, essenziali diritti sociali.

d) Anche se si espungesse dall’art. 117 il riferimento al diritto Ue, la sua supremazia resterebbe ancorata all’art. 11 Cost., di cui l’art. 117 costituisce, nell’opinione prevalente, una mera specificazione per quanto riguarda i poteri legislativi dello Stato. Peraltro, la riformulazione dell’art. 117, secondo i termini proposti dal Senatore Tremonti, sarebbe un cattivo segnale e finirebbe per incidere sulla stessa interpretazione dell’art. 11, ridimensionandone la portata.

Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (LUISS Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
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