Presidenza italiana Ue, Renzi chiede 1000 giorni, ma ne ha solo 180 Giampiero Gramaglia 01/07/2014 |
Il portale doveva essere solo in italiano e in inglese, ma è stato allestito anche in francese, dopo che Palazzo Chigi aveva registrato qualche malumore transalpino: di qui, l’uscita pubblica all’ultimo momento.
Il sito, che vuole essere la fonte principale d’informazioni sul semestre italiano, non è l’unica novità del 1° luglio: ci sono pure la moneta e il francobollo dedicati alla presidenza. Ad aprire la sezione News, il messaggio di saluto del premier Matteo Renzi, che s’iscrive con disinvoltura alla 'generazione Erasmus'.
Online, c’è pure il programma del Trio di Presidenze - Italia, Lettonia, Lussemburgo - approvato dal Consiglio dei ministri degli affari generali il 24 giugno.
I ministri degli esteri dei tre paesi - Federica Mogherini, Edgars Rinkevics e Jean Asselborn - hanno discusso la staffetta in un incontro alla Farnesina il 30 giugno, esprimendo “la volontà comune di aprire una nuova stagione. Il piano - si legge in una nota della Farnesina - ha al centro iniziative per la crescita e l'occupazione e vuole rafforzare il ruolo dell'Ue nel mondo attrezzandola ad affrontare le sfide della globalizzazione.
Tra il pieno uso e il buon uso dei margini di flessibilità
Fin qui, nulla da dire. Eppure, le conclusioni del Vertice europeo del 26 e 27 giugno, che ha chiuso la presidenza greca e fatto da viatico a quella italiana, sono subito diventate terreno di polemica tra il governo, che le presenta come un successo che apre margini di flessibilità all’Italia, e l’opposizione, che le legge come una disfatta che condanna l’Italia, di qui a pochi mesi, a un’ulteriore ennesima manovra.
In realtà, il Vertice europeo è stata la solita manfrina del tutti insieme al minimo comune denominatore, mascherando le differenze dietro la genericità delle formule - con un’eccezione, tutta da verificare, per l’energia. Senza volere dimenticare il balletto delle bozze, con l’arretramento - ed è solo un esempio - tra “il pieno uso” ed “il buon uso” dei margini di flessibilità previsti da Trattati e impegni esistenti.
Leggetevi, anzi leggiamoci, il comunicato ufficiale del Vertice sulla “agenda strategica dell’Ue in una fase di cambiamento”: “Il Consiglio europeo ha concordato cinque priorità a lungo termine che guideranno il lavoro dell’Ue nei prossimi cinque anni: economie più forti e più posti di lavoro; società capaci di consentire ai cittadini di realizzarsi e di proteggerli; un futuro sicuro per l’energia e per il clima; un’area affidabile di libertà fondamentali; un’azione congiunta efficace nel Mondo”.
Ora, qual è il governo o l’istituzione che non sottoscrive obiettivi del genere? E in che modo averli accettati e condivisi può costituire una vittoria o una sconfitta?
Priorità italiane alla presidenza europea
Sulle priorità italiane alla presidenza europea, indicazioni più concrete verranno dal discorso che il premier Renzi farà il 2 luglio all’Assemblea di Strasburgo, che oggi inaugura la sua VIII legislatura. La sostanza del programma Renzi l’ha però già presentata al Parlamento italiano, spostando l’obiettivo ben al di là del semestre e pure del trio. Mille giorni per fare le riforme in Italia e per cambiare l’Ue. Tempi più brevi, invece, per dare una dimensione più europea all’emergenza immigrazione / accoglienza.
L’Italia avvierà un robusto programma triennale di riforme nazionali. E, in cambio, chiederà all’Ue di abbandonare l’immobilismo e l’atteggiamento ipertecnocratico che l’ha segnata negli ultimi anni.
Partendo dal voto di maggio, il premier rivendica all’Italia maggior peso europeo: “Non accettiamo da nessuno lezioni di democrazia e democraticità, qui e fuori dai confini nazionali … Se milioni d’italiani hanno votato perché l'Europa cambiasse rotta, abbiamo la responsabilità di farlo, non una medaglia da appuntarci al petto”.
Sul Patto di stabilità, l’Italia non chiede di sforare il tetto del 3%, “come fece la Germania, ma “vogliamo smettere di ricevere un elenco di raccomandazioni che siano come una lista spesa che capita fra capo e collo”.
Per Renzi, con l’eccesso di burocrazia non è possibile guidare un processo di sviluppo: “Abbiamo sempre detto che rispettiamo le regole. Non è in discussione: le abbiamo sempre rispettate e continueremo a farlo, ma c'è modo e modo di affrontare le regole”. L’Italia si presenta alla presidenza con 117 procedure d’infrazione aperte: un record, nell’Ue, nessun paese, neppure la Grecia, fa peggio.
“La stabilità senza crescita - dice ancora il premier - diventa immobilismo … O l’Unione cambia direzione di marcia o non esiste più una possibilità di sviluppo e crescita”. Per avviare il processo, l’Italia intende “presentarsi al semestre con un pacchetto di riforme unitario”, da sviluppare - e qui la scelta delle date pare rispecchiare più scadenze italiane che europee- dal 1º settembre 2014 al 28 maggio 2017.
Le riforme nazionali sono la moneta di scambio con cui ‘acquistare’ l’utilizzo dei margini di flessibilità europei: è questa, per Renzi, la chiave per uscire dalla “logica kafkiana di un'Europa che apre una procedura di infrazione perché non paghiamo i debiti alle imprese, ma contemporaneamente ti impedisce con il Patto di Stabilità di saldare quel debito … è un film dell'orrore”. Il formalismo eccessivo va abbandonato, perché l’Ue “non può diventare terra di mezzo di cavilli e norme dove si perde il senso del reale”.
Nomine e rinnovo istituzioni europee
Infine, c’è il capitolo delle nomine e del rinnovo delle Istituzioni europee, in parte alleggerito dopo le decisioni del Vertice europeo di fine giugno: il popolare lussemburghese Jean-Claude Juncker va alla presidenza della Commissione europea, il socialista tedesco Martin Schulz resta alla presidenza del Parlamento europeo.
Ma le scelte da fare restano numerose: la presidenza del Consiglio europeo ed eventualmente dell’Eurogruppo, la designazione dei commissari e, fra di essi, dell’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, dove c’è un’ipotesi Mogherini. Al Parlamento italiano, Renzi dice “siamo a un bivio” e prospetta “un metodo”: “Prima di decidere chi guida decidiamo dove andare”, cioè prima l’agenda strategica e poi Juncker. E, fin qui, tutto bene.
Ma il premier prospetta “un’intesa complessiva” con dentro “tutte le nomine e metodo di governo”: “Non basta sapere chi sarà il presidente della Commissione se non si decide anche chi guiderà l'Eurogruppo o il Consiglio europeo”. Però, è andata proprio così: Juncker c’è; il dopo van Rompuy e il dopo Dijsselbloem no.
Giampiero Gramaglia è consigliere per la comunicazione dello IAI.
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