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lunedì 27 ottobre 2014

Immigrazione: un nodo da sciogliere

Cittadinanza
Lo ius soli temperato di Renzi
Marco Gestri
11/10/2014
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Da qualche anno è in corso un dibattito sull’opportunità di modificare le norme sulla cittadinanza, soprattutto nel senso di favorirne l’acquisto da parte dei giovani d’origine straniera nati in Italia.

Lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha affermato che ciò corrisponderebbe, oltreché a una legittima aspettativa degli interessati, all’esigenza di “acquisire delle giovani nuove energie ad una società largamente invecchiata”.

Le norme sulla cittadinanza sono stabilite mediante legge ordinaria, la n. 91 del 1992. La Costituzione, salvo l’art. 22 che vieta la privazione della cittadinanza per motivi politici, non prevede alcuna regola in materia.

Ius soli e ius sanguinis in Italia
La legge n. 91/1992 adotta quale criterio principale per l’attribuzione della cittadinanza lo ius sanguinis: è cittadino il figlio di padre o madre italiani. Al criterio dello ius soli è attribuita diretta rilevanza solo eccezionalmente, per limitare l’apolidia: è cittadino chi è nato nel territorio della Repubblica “se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono”.

Negli altri casi, la nascita nel territorio assume comunque qualche rilievo: lo straniero nato in Italia diviene cittadino italiano qualora vi abbia risieduto fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari, entro un anno, di voler acquistare la cittadinanza.

Anche il nostro ordinamento prevede poi la possibilità d’acquistare la cittadinanza per naturalizzazione (provvedimento discrezionale dello stato, che esprime una sorta di gradimento dello straniero). In base alla regola generale, può chiedere la naturalizzazione chi risieda da dieci anni nella Repubblica. Sono previsti anche termini abbreviati, in particolare per lo straniero nato in Italia, che può chiederla dopo tre anni di residenza.

Rischio turismo di cittadinanza 
La disciplina ora ricordata è ritenuta da più parti eccessivamente severa o “non inclusiva” (ma non mancano proposte per renderla più rigida..). Molti si sono pronunciati per modifiche fondate sul criterio dello ius soli “puro”, in virtù del quale ogni individuo nato in Italia diverrebbe cittadino italiano.

Si sostiene talora che si tratterebbe di scelta richiesta dall’Europa e largamente condivisa. In realtà, la normativa Ue lascia la materia alla disciplina nazionale e nessun paese europeo prevede lo ius soli puro. Risultava accolto sino al 2005 dall’Irlanda che lo ha però eliminato a seguito del dibattito suscitato dalla sentenza Zhu della Corte Ue.

Questa ha avallato la manovra di una coppia cinese, recatasi in Irlanda poco prima della nascita della figlia per farle acquisire la cittadinanza irlandese/europea e il conseguente diritto a risiedere in Gran Bretagna, nonostante sia Irlanda che Regno Unito la considerassero fraudolenta.

In effetti, la previsione dello ius soli puro (o accompagnato da condizionamenti minimi) favorirebbe un “turismo di cittadinanza” e potrebbe suscitare riserve in altri stati Ue: l’acquisto della cittadinanza italiana implicherebbe quello della cittadinanza europea e del diritto di soggiorno in tutta l’Unione.

Più realistica la proposta, più volte annunciata dal primo ministro Matteo Renzi, d’introdurre uno ius soli “temperato” (da ulteriori requisiti, quali frequenza scolastica o residenza). A ben vedere questo esiste già, dato che la legge vigente prevede per il nato in Italia la possibilità d’ottenere la cittadinanza per naturalizzazione dopo una residenza di tre anni, termine tutt’altro che lungo.

È peraltro vero che si tratta di possibilità condizionata da un atto discrezionale dello stato e che i tempi si dilatano per le lungaggini burocratiche (anche oltre due anni).

Integrare giovani nati o cresciuti in Italia
Per migliorare l’applicazione della legge potrebbe forse bastare uno snellimento delle procedure burocratiche. Modifiche sostanziali alle norme sulla cittadinanza dovrebbero a mio avviso esser il frutto di scelte largamente condivise: anche se stabilite da legge ordinaria, si tratta di regole fondamentali, che definiscono una componente essenziale dello stato (il “popolo” e conseguentemente il corpo elettorale), e appartengono dunque alla costituzione materiale.

Ciò ricordato, pare ragionevole intervenire per stabilire l’acquisto della cittadinanza da parte degli stranieri nati in Italia, o qui giunti in giovane età, al termine di un percorso che ne attesti l’effettiva integrazione nella nostra società (compimento di un intero ciclo di studi o frequenza scolastica pluriennale), anziché in virtù della mera residenza prolungata.

Tra l’altro, i giovani d’origine straniera possono rappresentare un ponte tra culture diverse (di provenienza e dello stato di residenza) e favorire l’integrazione dell’intera comunità familiare.

Potrebbe anche delinearsi un’abbreviazione del periodo di residenza generalmente richiesto per la concessione della naturalizzazione, tra i più lunghi in Europa (ad es. da 10 a 8 anni o anche a 5, come in diversi Stati europei e in Italia prima della riforma del 1992).

Marco Gestri è Professore di diritto internazionale nell’Università di Modena e Reggio Emilia e nella Johns Hopkins University, SAIS Europe.
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