Era nell’aria già dopo il voto del Senato ed è diventato realtà dopo l’approvazione alla Camera del cosiddetto “emendamento Regeni”, quando l’Egitto ha inviato all’Italia un messaggio che è suonato come una minaccia.
La decisione del Parlamento di fermare la fornitura all'Egitto di pezzi di ricambio per i caccia F16 avrà degli "impatti negativi in tutti i campi della cooperazione tra i due Paesi: sul piano bilaterale, regionale e internazionale", ha dichiarato il ministero degli Esteri egiziano, che, pur non entrando nei dettagli delle contromisure sulla tavola, ha menzionato i dossier più caldi che potrebbero esserne influenzati: immigrazione e Libia.
Il caso Regeni diventa un tema di politica interna La relazione tra Roma e il Cairo si è ulteriormente incrinata da quando il caso Regeni è diventato terreno di battaglia per la politica interna italiana. A mostrarlo è stato proprio quanto scatenatosi in Parlamento attorno all’omonimo emendamento. Le dichiarazioni egiziane sono infatti arrivate dopo il respingimento, mercoledì, da parte della Camera, di un emendamento presentato da Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia che mirava a reintrodurre nel decreto missioni una clausola che permettesse il rifornimento all'Egitto di pezzi di ricambio per i caccia F16.
L'autorizzazione era stata cancellata dal decreto nel passaggio al Senato con l'approvazione, il 29 giugno, di un emendamento presentato in commissione da Sinistra italiana. Una proposta di modifica definita dal relatore Gian Carlo Sangalli "un segnale" da parte del Parlamento, un modo per continuare a tenere sotto pressione l'opinione pubblica, e anche l'Egitto, sulla vicenda Regeni.
Ma non - ha sottolineato Sangalli - un atto ostile al governo egiziano. Le sue parole hanno però scatenato un vivace dibattito in aula, portato avanti in primis dal capogruppo di Forza Italia Paolo Romani che ha definito quella che si stava scrivendo una delle peggiori pagine della storia del Senato italiano. Romani si è poi impegnato a portare all’ambasciatore egiziano a Roma, Amr Helmy, il testo dell’emendamento.
Immediata e univoca la reazione del regime egiziano che, nelle parole del capo della commissione Esteri del Parlamento Mohamed El-Oraby, ha definito la decisione italiana una escalation ingiustificata che non tiene in considerazione la “collaborazione” giudiziaria sul caso Regeni - in realtà quasi inesistente - e quella che viene definita l’innocenza del governo egiziano sulla morte del giovane ricercatore.
Roma isolata in Europa La prova di forza tra Egitto e Italia sul caso Regeni coinvolge rapporti strategici e militari in un quadrante di mondo decisivo per i flussi migratori, la lotta al terrorismo e la stabilizzazione della Libia. Prima della scomparsa del nostro ricercatore, la collaborazione sulla questione migratoria tra Al-Sisi e Renzi era stata ottima. La ripresa, in primavera, della rotta egiziana, con connesse tragedie del mare, è stato il primo avvertimento del cambiamento che potrebbe accadere.
Più complesso il discorso sulla Libia, dossier sul quale la posizione di Roma si è distanziata da quella del Cairo. Mentre l’Italia sostiene gli sforzi Onu e il governo di unità nazionale di Fayez al-Serraj, l’Egitto continua a schierarsi al fianco di Khalifa Haftar, generale con il quale Al-Sisi condivide l’antipatia per gli islamisti e il piano di sterminarli.
In casa come in Cirenaica - poroso confine dal quale provengono sempre più minacce per un Egitto che pur avendo dichiarato guerra ai terroristi (termine con il quale il Cairo si riferisce, indistintamente tanto ai miliziani dello “stato islamico” quanto agli oppositori ad Al-Sisi) - non riesce a contenere l’escalation di violenza che dal Sinai è arrivata a coinvolgere i centri urbani.
L’atteggiamento italiano sulla Libia spiega in parte anche la posizione assunta sul caso Regeni dalla Francia, Paese che nei fatti fatica a sostenere la linea comune decisa con l’Onu. Dopo aver esercitato pressioni sul regime di Al-Sisi, ad aprile il presidente Hollande ha firmato al Cairo commesse miliardarie per nuove forniture di armi.
Silenziosa anche l’Inghilterra, patria dell’università di provenienza di Regeni che si è rifiutata di rispondere alle domande degli inquirenti italiani.
In Europa, gli unici pronti ad assumere una posizione simile a quella di Roma potrebbero essere gli irlandesi. Dopo aver richiesto all’Egitto il rilascio di Ibrahim Halawa - cittadino con doppia nazionalità arrestato durante le manifestazioni contro la deposizione del presidente Mohamed Morsi dell’estate 2013 - il parlamentare Brid Smith ha suggerito di seguire l’esempio di Roma, richiamando in patria l’ambasciatore attualmente al Cairo.
Cantini e Badr, nuovi ambasciatori in attesa di partire E anche su questo dossier continua lo stallo diplomatico. Nominato il 10 maggio come nuovo capo missione al Cairo, l’ambasciatore Giampaolo Cantini dovrà aspettare prima di mettere piede in Egitto, visto che la Farnesina non ha ancora chiesto il gradimento alle autorità egiziane. Sorte simile potrebbe spettare a Hisham Badr, sostituto di Helmy che ad agosto termina la sua missione a Roma.
Non vedendo la luce in fondo a questo tunnel e spaventati dagli effetti del deterioramento della relazione, quanti hanno a cuore gli interessi economici bilaterali hanno iniziato a fare lobby sul premier Renzi. Il 5 luglio, l’Associazione di Amicizia e Cooperazione tra Italia ed Egitto ha inviato una lettera al premier, chiedendo di riesaminare le azioni che hanno introdotto misure restrittive tra i due Paesi. Nel farlo, hanno richiamato proprio le parole usate da Renzi al Forum degli investimenti di Sharm el Sheik del marzo 2015, quando il premier descrisse le minacce alla sicurezza dell’Egitto come minacce italiane.
Da allora ad oggi, la spericolata scommessa di Renzi sul regime di Al-Sisi si è rivelata fallimentare. Investire su una stabilità basata su repressione ed esclusione politica non è stata una mossa lungimirante. Come già accaduto nel passato più recente non solo tale stabilità si è rivelata insostenibile nel lungo periodo, ma non è neanche riuscita a garantire i nostri interessi. Anzi…
Viola Siepelunga è una giornalista free lance.
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