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mercoledì 26 ottobre 2016

Roma: Come dovrà cambiare l'Europa

Referendum costituzionale
Il profilo europeo della Riforma 
Lucia Serena Rossi
14/10/2016
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La riforma costituzionale presenta importanti profili per quel che riguarda partecipazione dell’Italia all’Unione europea, Ue, che nel dibattito generale non sembrano presi in considerazione adeguatamente. Di seguito analizziamo i tre aspetti di maggior rilievo.

La “partecipazione” del Senato al raccordo con l’Ue
Secondo il nuovo art. 55 Cost., il Senato concorre al raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Ue e partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea.

In realtà, per quel che riguarda la fase “ascendente”, di formazione degli atti dell’Ue, si tratta, e ciò vale anche per la Camera, non di una partecipazione diretta, poiché gli atti dell’Ue sono adottati dalle istituzioni europee, ma del controllo preventivo sulla sussidiarietà e proporzionalità, introdotto dai protocolli 1 e 2 del Trattato di Lisbona.

Il bicameralismo perfetto sopravvive solo in un numero limitato di ipotesi, considerate di particolare importanza. Fra queste vi è la ratifica dei “trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Ue”: in questo caso, a differenza che per tutti gli altri trattati internazionali - in cui è sufficiente l’autorizzazione della sola Camera - l’art. 80 prevede che la legge di autorizzazione alla ratifica sia bicamerale.

Viene così affermata in Costituzione la maggior rilevanza di questi trattati e la necessità di una maggiore legittimazione democratica per adottarli o modificarli, rispetto agli altri trattati internazionali. Ciò appare coerente con quel valore “costituzionale” del diritto dell’Ue che è stato affermato dalla Consulta nelle sentenze 348 e 248 de 2007, in contrapposizione con il valore “sub-costituzionale” di tutti gli altri trattati internazionali.

L’attuazione del diritto europeo
Quanto alla fase discendente, in linea generale il Senato non interviene nell’attuazione delle norme dell’Ue. L’art. 70 comma 1 - che indica le leggi la cui approvazione è bicamerale - non menziona fra queste gli strumenti ordinari di adattamento agli atti dell’Ue, quali la legge europea, la legge di delegazione europea o leggi ad hoc che recepiscano singole direttive, riferendosi soltanto alle leggi generali che regolano l’appartenenza all’Ue o a quelle di cui all’art 117.5, che stabiliscono le norme di procedura per le Regioni e le Province autonome, nelle materie di loro competenza, sulla partecipazione alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi dell’Ue, o al potere sostitutivo dello Stato alle Regioni.

Perciò nelle materie di competenza statale, le leggi di adattamento agli atti Ue saranno adottate solo dalla Camera. La “partecipazione” del Senato, meramente eventuale, si potrà avere, al pari di ogni altra legge per cui non sia disposto altrimenti dalla Costituzione, se richiesta da un terzo dei suoi componenti entro 10 giorni dalla approvazione del disegno di legge da parte della Camera; il Senato avrà poi solo 30 giorni per proporre eventuali modifiche, sui cui spetterà alla Camera pronunciarsi definitivamente.

Le conseguenze del ridimensionamento del ruolo del Senato sono due. Da un lato, ci si può attendere una maggiore rapidità dall’adozione monocamerale delle norme statali di attuazione del diritto dell’Ue. Dall’altro, il Senato, sollevato da attività legislativa, potrà concentrarsi sul controllo di sussidiarietà e proporzionalità delle norme Ue in fase ascendente, ma soprattutto potrà garantire, in fase discendente, un coordinamento, assai più continuo ed efficace di quello attualmente svolto dalla Conferenza Stato Regioni.

La continua produzione di norme europee rende infatti difficile tenere il passo alle Conferenze. Queste si riuniscono troppo sporadicamente nella c.d. “sessione comunitaria” e possono esercitare solo un’influenza limitata sugli enti territoriali e sulla loro legislazione e non sembrano oggi in grado di garantire un vero coordinamento fra Stato e Regioni o Province autonome e nemmeno fra queste ultime.

Il nuovo Senato potrà svolgere, molto più efficientemente delle Conferenze, la funzione di raccordo fra le diverse autonomie territoriali e fra queste ultime e lo Stato, proprio perché in esso siede un’estesa rappresentanza di persone quotidianamente impegnate nel governo del territorio.

Al recepimento degli atti dell’Ue nelle materie di competenza delle Regioni e Province autonome provvederanno queste ultime, legiferando nel rispetto delle norme di procedura stabilite con legge dello Stato, attualmente la legge 234/2012 e dei vincoli economici stabiliti dagli artt. 119 e 81 Cost.

Con la riforma Costituzionale si ha un chiarimento della ripartizione fra Stato ed enti territoriali, con l’abolizione delle materie di competenza concorrente e la riallocazione alla competenza statale di diverse materie, in cui sarà più facile garantire un’uniforme recepimento delle regole europee.

Inoltre viene rafforzato il potere sostituivo dello Stato alle Regioni nelle materie di loro competenza, il che sarà utile per prevenire condanne in infrazione da parte dell’Ue, prevedendo però il parere del Senato. Questo opportuno coinvolgimento del Senato si ricollega alle funzioni di rappresentare gli enti territoriali e di verificare l’impatto delle norme europee sui territori.

Rafforzamento delle regole di partecipazione dell’Italia all’Ue
La riforma costituzionale introduce una rilevante modifica per quanto riguarda gli strumenti che regolano in via generale l’appartenenza dell’Italia all’Ue.

Come si è detto, il bicameralismo sopravvive solo per leggi su temi di importanza rilevante, o “di sistema”. Questo tipo di leggi vengono anche innalzate ad un rango “semi costituzionale”, per l’impossibilità, che leggi successive, anche bicamerali, possano abrogarle tacitamente. Fra queste leggi il nuovo art. 70 include anche la “legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea”.

È questo un notevole passo avanti nel raccordo del nostro ordinamento con quello dell’Ue. Infatti tutte le leggi che sino ad ora stabilivano procedure, regole e meccanismi per la partecipazione italiana all’Ue -dalla “legge La Pergola” a quella “Buttiglione (11/2005) sino alla vigente legge 234/2012 - avevano lo status di legge ordinaria e quindi erano modificabili, anche implicitamente, da qualunque legge posteriore, incluse le leggi “comunitarie” annuali o le leggi settoriali, con il risultato di stravolgere il sistema previsto dalla legge di inquadramento.

Ora la legge 234/2012 viene innalzata ad un livello semicostituzionale, il che conferirà maggiore stabilità e solidità al processo di recepimento delle norme europee nel nostro Paese.

Lucia Serena Rossi è Ordinario di Diritto Ue Università di Bologna. Qui la versione più lunga dell’articolo pubblicato.

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