Di Guseppe Cozzi
NASCITA, EVOLUZIONE E PROLIFERAZIONE DEGLI
UAVs
Lo scopo
di questo paragrafo non è quello di fare una lunga digressione sulla storia
degli UAVs, bensì di analizzare quali siano state le motivazioni che hanno
portato ad una rapida evoluzione e articolata proliferazione dei droni, soprattutto
in ambito militare. La sigla UAV (Unmanned Aerial Vehicle) in italiano anche
detti APR (Aeromobile a Pilotaggio Remoto) racchiude tutti quei velivoli senza
pilota. Nati prettamente in ambito militare, il loro uso, con il passare degli
anni, si è esteso anche all’ambito civile (per esempio monitoraggio ambientale
o supporto alle operazioni di pubblica sicurezza). Gli UAVs, o droni, vengono
pilotati grazie ad alcune stazioni di controllo a terra (o anche imbarcate), le
cosiddette Ground Control Station (GCS), sia nelle fasi di decollo/atterraggio
sia nella fase di condotta della missione di volo. La propulsione,
generalmente, è affidata a dei turboreattori che garantiscono velocità
subsoniche dell’ordine di Mach 0,9. Per quanto attiene alla superficie alare,
più è grande più viene assicurata una rilevante autonomia ad alta quota. Per
quanto afferisce ai sistemi di cui gli UAVs sono dotati, ogni esemplare è
costituito dall’equipaggiamento che più si attaglia alla missione assegnata.
La
storia dei velivoli a controllo affonda le sue origini fin dai primi studi e
ricerche sul volo: infatti, da quando furono realizzati i primi oggetti volanti
più pesanti dell’aria, quasi contemporaneamente si è iniziato a pensare a come
controllarli a distanza. Il primo impiego conosciuto è da attribuire all’utilizzo
di mezzi aerei controllati da parte dell’esercito Austro-Ungarico, che impiegò
alcuni palloni aerostatici per colpire Venezia durante l’assedio del 1849,
senza esporsi al fuoco dei cannoni della difesa.
I primi
esempi seri di studio di veicoli volanti teleguidati nacquero però durante la
Prima Guerra Mondiale, con l’impiego diretto dei primi aerei e della radio,
invenzioni di recentissima realizzazione. Il professor Archibald Low, ingegnere
arruolato come capitano nei Royal Flying Corps, con una squadra di 30 tecnici
mise a punto il progetto “Aerial Target” (AT): il primo velivolo a motore con
testata bellica e sistema di pilotaggio attuato via impulsi radio.
Durante la Seconda Guerra Mondiale poi, i tedeschi svilupparono la Ruhrstal
1400X, conosciuta come Fritz X: si trattava di una bomba perforante con
superfici telecomandate via impulsi radio a onde ultracorte costruita attorno
ad una bomba convenzionale SC250, con capacità accresciuta a 1.400 chili.
La sua vittima più celebre fu la corazzata Roma della Regia Marina italiana,
affondata tra il golfo dell’Asinara e le bocche di Bonifacio il 9 settembre
1943, in cui persero la vita 1352 marinai.
Con lo
scoppio della Guerra Fredda, il bisogno di avere una sorveglianza sempre più
efficiente nonché la necessità di effettuare missioni furtive, spinse la United State Air Force ad apportare
cambiamenti agli aerei da combattimento, rendendoli più simili ai droni e
quindi idonei ai loro scopi. La CIA assegnò alla Loockheed Corporation, una
delle più importanti industrie aerospaziali statunitensi e mondiali dell’epoca,
un contratto per la progettazione e realizzazione di un aereo ad alta velocità
e ultra stealth. L’aereo in questione venne chiamato Lockheed U-2, ma purtroppo
non ebbe un grande successo, infatti fu abbattuto in guerra e il pilota venne
sequestrato. Alla luce di questo episodio, la necessità di creare velivoli
senza pilota a bordo divenne sempre più incombente. L’industria statunitense Teledyne Ryan,
specializzata nella produzione di drone da ricerca o bersagli volanti, sviluppò
dall’AQM 34 Firebee, velivoli lanciabili da terra o sganciabili dalle ali di un
aereo madre (di solito un aereo da trasporto Lockheed DC 130 Hercules) con
compiti di ricognizione strategica o di guerra elettronica: questi velivoli
difatti erano riempiti di apparecchiature per analizzare e disturbare le
emissioni radio e radar del nemico, oppure per effettuare ricognizioni
fotografiche. Il primo ciclo di queste missioni delicate fu svolto sulla Cina
nel 1964, con ottimi risultati, ma anche con la perdita per abbattimento o
avaria di numerosi esemplari. Così vennero sviluppate versioni via via più
performanti. L’impegno americano nel conflitto del Vietnam vide un esteso uso
degli UAV sul territorio Nordvietnamita e sul quello contiguo cinese.
Le
pesantissime perdite subite dalle forze aeree statunitensi, in termini di aerei
abbattuti e di uomini uccisi o catturati, in quasi dieci anni di combattimenti,
raffrontati con le prestazioni sempre più spinte dei droni e i dati di perdite
in continua diminuzione fecero sorgere spontanea a Washington la considerazione
di affidare ai velivoli senza pilota anche una parte delle missioni di
combattimento, dotandoli di armamenti e sistemi di puntamento adatti.
Negli
anni successivi le caratteristiche dei droni iniziarono a cambiare per
adattarsi a più moderne esigenze. Il focus passò dalla velocità alla
manovrabilità e al peso, droni sempre più simili a quelli attuali vennero
prodotti anche con materiali più leggeri e innovativi, come la fibra di
carbonio e fibra di vetro. Negli anni ‘70 fu prodotto il Lockheed MQM-105
Aquila, il primo drone dalle dimensioni ridotte capace di volare con il pilota
automatico. Il suo punto di forza risiedeva in innovativi sensori capaci di scovare
obiettivi nemici sia di giorno che di notte. In quegli stessi anni, l’Israel
Aircraft Industries11 (IAI) sviluppò lo Scout, un drone economico e semplice da
produrre, ma allo stesso tempo molto resistente e difficile da distruggere.
Grazie ad una telecamera montata nella torretta, questo drone ‘low-cost’
riusciva a fornire ai suoi utilizzatori immagini a 360 gradi. Negli anni ‘80
vennero progettati i Canadair serie CL-89 e Cl-289, utilizzati fino ai primi
anni 2000. Con un’autonomia di circa 140 Km e una capacità di registrazione di
10 minuti, il CL-89 aveva il compito di sorvegliare e raccogliere informazioni
sulle postazioni nemiche. Nel 1984, la IAI e la Tadiran costituirono la Mazlat
Ltd, e da lì a poco svilupparono il famoso Pioneer. Questo drone, seppur non in
grado di trasportare grossi carichi, poteva volare in autonomia su un percorso
prestabilito ed essere controllato da una stazione a terra in grado di
conoscere la sua posizione in tempo reale. Il suo punto di forza era quello di
riuscire a trasmettere, attraverso un sistema di telecomunicazione line of
sight (LOS)12, informazioni visive in diretta e, in caso di problemi,
assicurare comunque l’integrità delle informazioni, grazie ad una modalità di
backup. Nel decennio 1990-2000 sempre più nazioni hanno cominciato ad
interessarsi agli APR, segnando così un periodo di grande sviluppo nella
produzione di droni. L’introduzione del sistema di telecomunicazione GPS ha
permesso agli APR di essere gestiti su un più ampio raggio d’azione, e i vecchi
radiocomandi e giroscopi sono stati sostituiti dalle apparecchiature di
controllo digitali (DFC) In quegli anni sono nati anche i primi droni solari,
droni dotati sia di motori elettrici alimentati da pannelli solari, i quali
alimentavano i motori e tutte le attrezzature di bordo.
I droni
solari non sono stati l’unica novità del decennio precedente gli anni 2000,
infatti, anche un’altra classe di droni, basata sulla ricognizione e
sull’azione a lungo raggio, ha preso vita in quello stesso periodo, dando così il
via ad una nuova generazione di APR dotata di sistemi ad infrarossi e
attrezzature intelligenti. Questi strumenti venivano utilizzati per lo
spionaggio di segnali elettromagnetici, attività meglio conosciuta con il nome
di SIGINT (SIGnals INTelligence). Si tratta della raccolta di informazioni
mediante l'intercettazione e analisi di segnali, sia emessi tra persone
(communications intelligence - COMINT), sia tra macchine (electronic
intelligence - ELINT), oppure una combinazione delle due. Tra i più conosciuti
ricordiamo l’RQ-1 PREDATOR (Figura 1.11), un monoplano ad ala bassa della
categoria MALE (medium altitudine, long endurance - media quota, lunga
autonomia) costruito nella metà degli anni 90 dalla General Atomics. Dal valore
complessivo di circa 40 milioni di dollari, l’RQ-1 (R-ricognizione, Q-senza
pilota) è stato progettato per svolgere missioni di ricognizione, è entrato in
volo per la prima volta nel 1995 ed è stato utilizzato da diversi Paesi ma
principalmente dalla United States Air Force. Questo APR era dotato di diversi
sensori e una fotocamera frontale che forniva immagini a colori ad alta
definizione, inoltre permette di essere guidato in maniera remota da una
stazione composta da 50/55 persone, attraverso un joystick e un collegamento
satellitare o radio. Aveva un grande raggio d’azione (730 km circa) e
un’autonomia che si aggirava intorno alle 17 ore. Successivamente fu dotato
anche di missili, cambiando il suo nome in MQ-1 e denominato Killer Drone /
Hunter, perché non solo era capace di svolgere missioni di ricognizione, ma
anche di identificare un obiettivo nemico e combattere.
I drone
odierni, con tutta la loro dotazione di apparati elettronici, la loro
flessibilità di uso e la loro economicità di gestione, costituiscono sistemi
d’arma competitivi contro le attività di guerriglia, come sperimentato in Iraq
e Afghanistan. Per la prima volta, un pilota, seduto in una stanza a migliaia
di chilometri dal velivolo che sta pilotando, con a sua disposizione le stesse
avanzate strumentazioni di controllo (anche satellitare) che potrebbe avere su
un jet da guerra e le armi di precisione più letali degli arsenali moderni, può
colpire praticamente chiunque e dovunque sul globo terrestre. Un drone come il Global Hawk può volare ininterrottamente
per più di 30 ore, il che addirittura permette di avvicendare nella missione
più piloti che potranno godere così di turni di riposo. L’immensa capacità
bellica, con un minimo carico, raggiunta da questi aerei però pone anche
questioni di tipo morale e relative anche alle leggi di guerra internazionali.