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mercoledì 28 gennaio 2015

Una Presidenza degna di nota: L'Italia ed il semestre europeo

Difesa europea
L’Ue di Renzi spende meglio e insieme in difesa 
Alessandro Ungaro
24/01/2015
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I tragici fatti di Charlie Hebdo e il crescente livello di rischio legato al terrorismo di matrice islamica hanno riportato a galla i temi della sicurezza e difesa.

L’Europa e i suoi Stati membri sono chiamati, ora più che mai, ad affrontare con maggiore efficacia un problema complesso e trasversale.

10 anni dell’European defence agency 
Proprio nel 2014 si erano celebrati i 10 anni dell’Agenzia europea per la difesa (European defence agency, Eda). In questa occasione è avvenuta la pubblicazione di un volume che ripercorre le tappe fondamentali della cooperazione europea in materia di difesa.

Lo stesso documento ospita una sezione in cui diversi esperti, addetti ai lavori, ed esponenti di spicco del panorama politico e industriale europeo commentano da diverse angolature e prospettive il tema della sicurezza e difesa in Europa.

Accanto a nomi come Catherine Ashton, Michel Barnier e Herman Van Rompuy - solo per citarne alcuni - vi è quello di Matteo Renzi. Il premier ha voluto contribuire con una riflessione di carattere politico, incentrata sulle dinamiche che intercorrono tra opinione pubblica, i rischi e le minacce all’Europa e ciò che più attiene al settore della sicurezza e difesa nel Vecchio Continente, la sua Politica di sicurezza e difesa comune (Psdc).

Risposta alle crisi che minacciano l’Europa 
La sua riflessione parte dal riconoscimento di fondo di quanto sia complesso in Europa creare consenso su ciò che è ritenuto piuttosto “lontano”, sia in termini temporali che geografici, ma che “lontano” in realtà non è.

Il premier si sofferma a lungo nell’identificare l’arco dell’instabilità e delle crisi che minacciano l’Europa e che la globalizzazione ha reso ancora più vicine, complesse, interconnesse e sfumate.

Ciò richiede una risposta concreta e di ampio respiro affinché l’Europa sia grado di mantenere e riportare la stabilità in quelle aree dove l’incertezza e le crisi possono espandersi e diventare endemiche.

Investire nel settore della sicurezza e difesa, la cui incidenza forse può sembrare invisibile e intangibile sul singolo e sulla comunità, richiede una lungimiranza politica che sia in grado di coniugare le impellenti e legittime necessità economico-sociali con le altrettanto determinanti necessità legate alla sicurezza e alla difesa.

Tale investimento è paragonato a una sorta di polizza di assicurazione, per cui maggiore è il premio da pagare, maggiore sarà la copertura applicata, sebbene nessuno si augura di farne mai uso.

È una polizza di assicurazione che implica, per essere valida ed efficace, contributi finanziari regolari, significativi, ma soprattutto coordinati e concertati a livello europeo. Non si tratta di spendere di più singolarmente, ma spendere meglio e insieme.

Facendo leva sull’approccio europeista che contraddistingue il suo discorso politico, seppur alcune volte critico, Matteo Renzi ribadisce la necessità di maggior integrazione, così che l’Europa possa giocare la sua parte in un mondo in continua evoluzione, in cui la sicurezza dei propri cittadini è tenuta sempre più sotto scacco.

Non nasconde, però, le criticità all’interno dell’architettura europea, incapace di accordarsi politicamente su determinati obiettivi strategici, a fronte dei quali predisporre adeguate misure e politiche, e pianificare un adeguato coordinamento nelle politiche di razionalizzazione della spesa pubblica per la difesa o negli investimenti in Ricerca e Sviluppo.

Dal Libro Bianco italiano a quello europeo 
Accrescere la consapevolezza dei cittadini europei su ciò che l’Europa è chiamata ad affrontare in termini di rischi e minacce e al tempo stesso assicurarsi che essi siano pienamente coscienti che tali temi toccano l’Europa tutta, senza distinzioni di nazionalità o esposizione al rischio. Sono queste le principali raccomandazioni che trovano spazio nella riflessione del Presidente del consiglio.

Suggerimenti già presenti nelle linee guida del Libro Bianco italiano per la sicurezza internazionale e la difesa che, a partire dallo scorso giugno, ha avviato il coinvolgimento dell’opinione pubblica in un più ampio dibattito nazionale.

Sempre su questi presupposti, Renzi propone all’Europa di seguire l’esempio italiano ed elaborare un Libro Bianco europeo che veda anche il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini europei.

L’integrazione economica - e in parte finanziaria - è infatti solo uno degli aspetti che danno forma all’Unione europea, la quale troverebbe certamente una maggiore identità e peso politico attraverso un ulteriore tassello: l’Europa della sicurezza e difesa.

Alessandro R. Ungaro è ricercatore del Programma Sicurezza e Difesa dello IAI (Twitter: @AleRUnga).
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lunedì 19 gennaio 2015

Marò: il rischio di cadere nel sistema giudiziario indiano: in tre anni non si è riusciti ad avere uno straccio di incriminazione

Caso Marò
Cercasi strategia per l’India 
Filippo di Robilant
16/01/2015
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La Corte Suprema indiana ha prorogato di tre mesi la licenza al fuciliere di marina Massimiliano Latorre. A parte la soddisfazione per Latorre, che fino ad aprile potrà continuare la convalescenza a casa, la politica ha poco da esultare.

Alla conferenza di fine anno, il Presidente del Consiglio si era dimostrato fiducioso sul caso marò, evocando “un canale di confronto diretto finalmente aperto” con le autorità indiane.

Ancora una volta veniva chiesto di non disturbare il manovratore. Francamente però, in tre anni l'esito dei contatti tra autorità è stato a dir poco frustrante. E il nuovo Governo Modi continua a fornire scarse speranze per una soluzione extra-giudiziale.

Diciamo la verità: finora tutta la dinamica è stata a guida indiana. La concessione della proroga ne è solo un’ulteriore dimostrazione.

Arbitrato internazionale
C'è stato un momento nel quale l'Italia ha dato l'impressione di voler prendere in mano il volante? Mai, a parte il tentativo di Emma Bonino di avviare un arbitrato internazionale quando era Ministro degli Esteri di un Governo Letta oramai agli sgoccioli. Oggi lo chiede anche il Parlamento europeo a larghissima maggioranza.

Ricorrere all’arbitrato, anche a rischio di perdere, farebbe finalmente capire che intendiamo fare sul serio. Visto che le procedure tecniche preliminari sono completate, anziché continuare a vagheggiarlo, l’arbitrato andrebbe subito avviato prendendo atto che la fase di dialogo è conclusa per mancanza di risultati.

In tal caso, Matteo Renzi dovrebbe sconfessare se stesso a distanza di poche settimane. Difficile per chi ha ostentato tanto ottimismo.

Allora delle due l'una: o Renzi ha qualcosa in mano che noi non sappiamo e compie il miracolo con l'India che rinuncia al suo diritto di esercitare l’azione penale, che sarebbe l’opzione migliore, oppure “il nuovo canale” si conferma illusorio, come lo è stato finora.

Nelle more, e non avendo tutte le carte in mano, non c’è altra scelta se non quella di cercare di ragionare.

Depoliticizzare il caso 
C’è opinione pubblica al mondo che rinfaccerebbe al proprio governo di aver tentato la strada dell'arbitrato? Nessuna. Anzi, consegnandoci a un tribunale internazionale otterremmo l'immediata depoliticizzazione del caso. Questo dovrebbe far comodo a qualsiasi leadership che creda o meno che sia il diritto, più che la politica, a dover dirimere simili casi.

Non a caso, l'arbitrato internazionale, in quanto mezzo pacifico di risoluzioni delle controversie tra Stati, esiste anche per salvaguardare le relazioni amichevoli tra contendenti. Un'iniziativa, quindi, da "vendersi" in chiave distensiva e non d’inasprimento dei rapporti.

L'arbitrato, poi, può coesistere con un parallelo negoziato diplomatico che, se porta a un accordo tra le parti, può essere fatto proprio dal tribunale arbitrale, il quale ha la facoltà di sospendere un procedimento in qualsiasi momento.

Paradossalmente, una sentenza favorevole all'Italia potrebbe essere sfruttata dall'India che, essendo secondo contributore di forze di peacekeeping dell’Onu, dovrebbe tenere alla tutela del principio dell'immunità funzionale. Con le sue 8141 unità dispiegate tra esperti militari, agenti di polizia e truppa (dati novembre 2014), l'India sa bene che corre il rischio di trovarsi in analoga situazione.

Canale della solidarietà internazionale
Federica Mogherini, nelle sua nuova funzione europea, ha detto che il continuo rinvio da parte indiana "può incidere sulle relazioni Ue- India". Con quali strumenti intende reagire? Il futuro accordo di associazione è un'arma spuntata, essendo il negoziato in stallo da tempo.

L'arbitrato offrirebbe, invece, un quadro formalizzato al cui interno canalizzare la solidarietà europea non solo a parole, visto che in teoria è possibile per singoli stati prendere parte come "interventori" nei procedimenti a sostegno della posizione degli attori in giudizio.

E l'Onu può reagire con la massima fermezza solo davanti a una violazione del diritto internazionale, quale il mancato rispetto di una sentenza emessa da un tribunale arbitrale internazionale; raramente prima.

Senza qualche scossone, rischiamo di ritrovarci ad aprile da capo, senza nuovi argomenti giuridici o strumenti di pressione, con la prospettiva di rimetterci nelle mani di una giustizia indiana più che aleatoria.

Se invece ottenessimo dall'Itlos (International Tribunal for the Law of the Sea), in base all’Annesso VII alla Convenzione sul diritto del mare, delle misure provvisorie (trasferimento degli imputati in un paese terzo o sospensione del processo domestico), come espressamente previsto a tutela della posizione processuale delle parti, questo potrebbe indurre gli indiani a sedersi finalmente al tavolo negoziale.

Considerati i tentativi del governo Modi di attrarre investimenti esteri abitualmente tutelati tramite arbitrato, l'India difficilmente disattenderebbe decisioni di un tribunale arbitrale.

Una polizza assicurativa
L'Italia ha commesso molti errori con esternazioni verbali, formali e non, a favore di un processo indiano “fast and fair”, addentrandosi a tal punto nel processo domestico da mettere a rischio addirittura l’accoglimento stesso del ricorso.

Ciò ha messo a dura prova l'immunità funzionale dei marò, pilastro principale della nostra linea di difesa. C’è il rischio che una Corte arbitrale possa valutare che l'Italia si sia troppo compromessa, a causa delle reiterate prove di acquiescenza nei confronti della giustizia indiana. Anzi, il nostro comportamento, prima e dopo la "de-keralizzazione" del caso, potrebbe essere interpretato come un cedimento "tutto e subito" su questo punto cruciale.

Questi rischi vanno messi in conto: anche se alla fine non ci verrà riconosciuta la giurisdizione, almeno si aprirebbe una dinamica con una tempistica dilatata, ma all’interno di una strategia e con opportunità prima indisponibili.

La partita finale rischia di essere comunque quella di doverci difendere "nel processo", consegnandoci alle incognite del sistema indiano che dopo tre anni non è stato in grado di fornire uno straccio di incriminazione.

Con l’ulteriore complicazione che la competenza sarà di un Tribunale speciale dalle fumose attribuzioni. Proprio per questo meglio avere la copertura di una polizza assicurativa, strategicamente attivando tutti gli strumenti per difenderci prima di tutto “dal processo” domestico.

Filippo di Robilant è membro del Comitato Direttivo dello IAI.
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mercoledì 14 gennaio 2015

La Presidenza

Unione europea
I frutti del semestre di presidenza europea
Sandro Gozi
26/12/2014
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Per usare una metafora che mi è cara, questo semestre è andato “di corsa”.

Di corsa ci siamo buttati in un’esperienza fantastica, sull’onda delle elezioni europee di maggio; di corsa abbiamo affrontato il passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo Parlamento e la vecchia e nuova Commissione, e sempre di corsa abbiamo cercato di imprimere un decisivo cambiamento alla nostra Unione europea (Ue).

Europa, un nuovo inizio 
Perché di corsa? Perché i ritmi della politica sono sempre più veloci e perché davvero non c’era più tempo. Di fronte alla presidenza italiana c’era un bivio: o accelerare o rassegnarsi all’esistente.

Abbiamo scelto di accelerare e di cambiare. Il semestre di presidenza italiana è stato infatti l’occasione per dare all’Ue nuove priorità politiche e programmatiche che avessero al centro la crescita e l’occupazione.

Non è un caso che il programma della presidenza sia intitolato “Europa: un nuovo inizio”. La nostra azione, nel corso di questi sei mesi, è stata guidata da un principio molto semplice: riportare la politica al centro dell’Europa. Prima ancora che sugli accordi, sugli obiettivi, sulle agende, ci siamo concentrati sull’idea di Ue che avevamo e che abbiamo in mente.

Non si poteva andare avanti con l’approccio tecnocratico e burocratico che ha caratterizzato Bruxelles negli ultimi anni: il rischio di scavare un solco sempre più profondo tra le istituzioni europee e i cittadini europei era troppo elevato.

Tornare alla politica significa in primo luogo mettere i programmi davanti alle nomine. Nomina sunt consequentia rerum, e da questo punto fermo è scaturita l’agenda strategica adottata dal Consiglio europeo del 26 e 27 giugno in cui, in cima alle priorità, l’Europa ha posto l’aumento dell’occupazione, della crescita e della competitività, anche “sfruttando al meglio la flessibilità insita” nel patto di stabilità e crescita.

Un concetto ampiamente ripreso anche nel programma della nuova Commissione guidata da Jean-Claude Juncker che ha ripreso le parole chiave del programma italiano. Non solo: per evitare che l’agenda strategica resti solo sulla carta, la presidenza italiana ha chiesto e ottenuto che il Consiglio affari generali ne possa monitorare l’effettiva attuazione.


Un chiaro esempio di centralità della politica è la battaglia che il governo italiano ha intrapreso per inserire con forza la parola “investimenti” nel lessico europeo. Prima di luglio nessuno parlava di investimenti, a Bruxelles si sentivano solo discorsi che riguardavano rigore e austerità.

Ora la musica è cambiata e le parole d’ordine sono crescita, investimenti e occupazione. Si tratta di un registro completamente diverso, a mio modo, di vedere il più importante risultato della presidenza italiana.

Un risultato che va ben oltre un semplice elenco delle cose fatte, che pure giudico positivamente. Juncker ha presentato il piano d’investimenti: non penso che sia sufficiente, ma è senza dubbio il primo passo in una nuova direzione e in una nuova dimensione.

Più politica al centro dell’Europa significa anche più politica estera europea nel mondo. La nomina di Federica Mogherini quale Alto rappresentante della politica estera europea è un grande risultato per il governo Italiano.

Si tratta di un passaggio fondamentale: abbiamo assicurato una fluida transizione istituzionale e la candidatura di Mogherini ha agevolato la composizione di un quadro molto complesso.

La presidenza italiana ha poi lavorato con successo affinché fossero rispettati i tempi prestabiliti: nuovo Parlamento dal 1° luglio, nuova Commissione Juncker dal 1° novembre e nuovo Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, dal 1° dicembre.

Mediterraneo, crisi ucraina e stato di diritto
Siamo convinti che l’Ue abbia le possibilità per incidere sugli affari internazionali molto più di quanto abbia fatto finora. I primi frutti di questo nuovo approccio li abbiamo raccolti proprio nel corso del semestre di presidenza: l’Europa ha finalmente accettato la centralità del Mediterraneo, impegnandosi in prima persona con l’operazione Triton per quanto riguarda la gestione dei migranti. Un successo politico e diplomatico poiché non solo è stata accolta la richiesta italiana che l’Europa presidi le sue frontiere marittime, ma si è per la prima volta riconosciuto il presupposto secondo cui le frontiere a 30 miglia delle coste italiane sono a tutti gli effetti frontiere europee.

Sempre su questo fronte, è assolutamente centrale il riconoscimento che i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, a cominciare dall’Italia, devono essere aiutati e sostenuti perché sottoposti a una eccezionale pressione migratoria.

Non meno importanti sono i risultati ottenuti in altri teatri di crisi: un primo fondamentale incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il collega ucraino Petro Poroshenko si è tenuto nel corso del vertice Asem di Milano del 17 ottobre, fortemente voluto dalla presidenza italiana. Il dialogo tra Russia e Ucraina è ripartito e non a caso poche settimane dopo si è raggiunto un accordo sul gas.

L’azione della presidenza si è poi rivelata efficace anche per quanto riguarda il rule of law, lo stato di diritto. Difficilmente temi di questo genere finiscono sulle prime pagine dei giornali, nondimeno l’Italia ha ritenuto fondamentale battersi per colmare una preoccupante lacuna dell’Ue: l’assenza di un quadro che consenta di confrontarsi periodicamente sul rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto all’interno dell’Ue.

Di conseguenza, al Consiglio affari generali di dicembre, con grande soddisfazione abbiamo raggiunto un accordo che consenta al Consiglio di esaminare e dibattere periodicamente la situazione dello stato di diritto, della legalità e del rispetto dei diritti umani all’interno dell’Europa, in tutti gli stati membri.

Pacchetto Clima-Energia 2030 verso Parigi 2015
Un obiettivo raggiunto cui la Presidenza ha lavorato molto riguarda l’accordo sul Pacchetto Clima-Energia 2030, a seguito del Consiglio europeo del 23-24 ottobre.

Si tratta di un passaggio fondamentale, poiché l’intesa raggiunta contiene un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra (almeno pari al 40% rispetto ai livelli del 1990), un target per le energie rinnovabili (27%) e un obiettivo indicativo per quanto concerne l’aumento dell’efficienza energetica (27%). Grazie a questo accordo, la posizione europea è stata rafforzata, ponendo le basi per l’accordo generale raggiunto a Lima a metà dicembre.

L’attenzione verso i cambiamenti climatici e uno sviluppo sostenibile restano al centro delle nostre azioni, specialmente in vista del vertice di Parigi del novembre 2015.

Non vanno poi dimenticati gli sforzi compiuti in ambito legislativo. La presidenza italiana ha effettuato un importante lavoro di monitoraggio sul funzionamento della Strategia Europa2020, avviando un dibattito fondamentale che proseguirà nel 2015 con la revisione formale della Strategia, giunta a metà della sua esperienza.

A fianco di questo lavoro, è con soddisfazione che accolgo la chiusura degli accordi per quanto riguarda il Meccanismo di risoluzione unico bancario; il rafforzamento delle norme per impedire la “doppia non imposizione” fiscale sugli utili societari distribuiti e il progetto di direttiva sullo scambio automatico di informazioni; le nuove norme sui sistemi di regolamento titoli, sui fondi di investimento e sui conti correnti che rafforzano le tutele dei consumatori e la trasparenza nel rapporto con banche e assicurazioni; il lancio della piattaforma contro il lavoro sommerso.

Inoltre, è con particolare orgoglio che l’Italia può rivendicare il lancio della Strategia Adriatico-Ionica, un vettore fondamentale per lo sviluppo di otto paesi e per la futura integrazione di nuove e diverse realtà.

Siamo andati di corsa, è vero. Non potevamo però permetterci di perdere tempo o di indugiare nelle stesse incertezze, negli stessi errori e negli stessi equilibrismi che hanno condizionato l’Ue negli ultimi anni.

Abbiamo scommesso sulla politica e crediamo di aver vinto la scommessa. Siamo perfettamente consapevoli che non basterà un Semestre per riconquistare la fiducia perduta nei confronti delle istituzioni europee. Ma abbiamo rimesso in piedi un’idea di Europa che ora merita di tornare a correre.

Sandro Gozi è Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega agli affari europei nel Governo Renzi.
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Sanzioni contro la Russia che non ci volevano

Crisi Ucraina
Sanzioni alla Russia, boomerang sul Made in Italy
Giovanna De Maio
17/12/2014
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Mentre continua la caduta libera del rublo, gli Stati Uniti approvano nuove sanzioni contro le aziende russe e nuovi aiuti all’Ucraina che colpiranno in particolare Rosoboronexport, il principale esportatore di armi russo, e l’azienda energetica russa, Gazprom.

In Italia intanto, si susseguono con un ritmo abbastanza incalzante le interrogazioni parlamentari nelle quali i deputati chiedono al governo misure efficaci per reagire alla preoccupante situazione delle imprese italiane danneggiate dalle contromisure russe alle sanzioni Ue.

Il Cremlino ha infatti messo al bando alcuni prodotti alimentari. L’andamento economico dell’eurozona, già alle prese con la recessione, conosce dunque un ulteriore fattore di instabilità.

Agroalimentare a rischio
Tra le merci bandite dalla risoluzione che andava a implementare il decreto presidenziale del 6 agosto 2014, la Federazione russa ha adottato speciali misure restrittive limitatamente alla circolazione di alcuni prodotti del settore agroalimentare - principalmente frutta, vegetali, carni, pesce, latte e alcuni prodotti caseari - verso i Paesi che hanno imposto le sanzioni economiche (oltre all’Ue, Canada, Australia, Stati Uniti, Norvegia).

Il segmento agroalimentare dei beni di consumo Made In Italy, che da solo rappresenta il 10% del nostro mercato secondo le stime dell’Italian Trade Agency, è quello che rischia di subire maggiori danni.

Il dato generale fornito dall’agenzia per la promozione all’estero e internazionalizzazione delle imprese italiane, illustra un calo del 25% del nostro export in Russia con perdite di circa 100 milioni di euro per ogni settore.

Nel 2013 l’export italiano verso la Russia è stato di 10 miliardi di euro e a esso sono collegati, secondo il World input-output database, circa 221 mila posti di lavoro.

Relativamente alle previsioni per il biennio 2014/2015, una ricerca di Sace rivela che a seconda dell’evoluzione dello scenario l’entità del danno per l’Italia si aggira tra i 938 milioni e i 2,4 miliardi di euro. Particolari ricadute negative si prospettano per alcune regioni come il Veneto e la Lombardia, maggiormente attive nel commercio con Mosca.

Parmigiano reggiano e prosciutto di Parma 
Due sono i prodotti di eccellenza del Made in Italy più apprezzati all’estero fortemente danneggiati dall’embargo: il Parmigiano Reggiano, il cui export verso la Russia genera un valore di 5 milioni di euro, e il prosciutto di Parma, la cui esportazione aveva registrato un trend molto positivo nel 2013, con un incremento del 51%.

Un’altra industria colpita è quella conciaria, vittima della risoluzione del 1 settembre 2014 firmata dal premier russo Dmitry Medvedev che ha decretato lo stop a calzature, capi di abbigliamento e pelletteria da Usa e Ue.

Anche sul mercato interno le previsioni non sembrano affatto positive. La possibilità che le merci europee ed extraeuropee di qualità inferiore destinate alla Russia possano dirottate verso l’Italia a prezzi inferiore è tutt’altro che remoto, con evidenti ripercussioni sui prezzi dei prodotti italiani.

Inoltre, il fenomeno dell’italian sounding - l’utilizzo di denominazioni geografiche o di marchi che evocano l’Italia per commercializzare prodotti italiani - rischia di essere favorito dalla decisione di alcune aziende di delocalizzare la produzione in paesi esclusi dal blocco, come la Serbia, servendosi delle materie prime locali.

In questo modo, oltre alle conseguenze sull’occupazione, la qualità di tutti i quei prodotti a marchio Dop, Igp e Stg non sarà sottoposta a controlli e non potrà essere garantita.

Tamponare l’effetto sanzioni
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Maurizio Martina, in qualità di presidente di turno del Consiglio agricoltura e pesca dell’Ue, ha provveduto da subito a lanciare un’operazione di monitoraggio dei mercati dei prodotti sottoposti al bando già dal 14 agosto scorso.

I dati così rilevati hanno indotto la Commissione europea a intraprendere misure urgenti per cercare di proteggere il settore ortofrutticolo e lattiero-caseario.

Guardando a un orizzonte temporale più ampio, l’attenzione è stata posta su due fronti: da un lato il rafforzamento delle risorse finanziarie per sopperire alle perdite dei settori più esposti; dall’altro la ricerca di mercati terzi alternativi.

La scelta di un’erogazione anticipata dei fondi per la Politica agricola comune non sembra ancora essere stata presa in considerazione.

In termini monetari gli aiuti ammonterebbero a 125 milioni di euro, ma sono stati giudicati insufficienti e inadeguati dagli addetti ai lavori, soprattutto alla luce del fatto che essi siano volti principalmente a tamponare i danni diretti più che a considerare le conseguenze indirette di lungo periodo.

Giovanna De Maio è dottoranda di ricerca presso l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale; è stata stagista per la comunicazione presso lo IAI.
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martedì 13 gennaio 2015

NUovi problemi per fronteggiare la pressione immigratoria

Immigrazione 
Navi fantasma dalla Turchia, nuovi scenari, vecchi problemi 
Fabio Caffio
07/01/2015
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Lo scenario dell'immigrazione via mare sta cambiando. A mostrarlo è stato l'arrivo, a fine 2014, due vecchi mercantili carichi di profughi provenienti dalla Turchia, Ezadeen e Blue Sky M. In Italia il pericolo era già noto, ma né l'Unione europea (Ue) né la Grecia ne avevano tenuto conto.

Eppure le carrette hanno a lungo navigato nelle acque greche. Naturale quindi che un greco come Dimitris Avramopoulos, commissario Ue all'immigrazione, abbia subito reagito preannunciando che la lotta a questi traffici sarà, per la Ue, una "priorità".

Navi fantasma
L'impiego di mercantili di grosso tonnellaggio trasportanti centinaia di migranti non è però una novità. Basta ricordare Vlora, il mercantile albanese che da Durazzo giunse a Bari nel 1991 con ventimila clandestini, o la nave Monica con bandiera di Tonga che nel 2002 si presentò davanti a Catania con mille migranti curdi.

Simili fatti presuppongono un impiego fraudolento di navi dall'incerta nazionalità e con equipaggi di fortuna in teoria possibile da stati in preda al caos o a conflitti interni. Diverso il caso in cui la partenza avvenga da paesi pienamente sovrani.

Omissioni turche
La Turchia non è certo la Somalia o la Libia le cui coste non sono sorvegliate. Di qui il sospetto che l'imbarco di profughi su navi senza bandiera e non idonee a navigare, essendo attività giuridicamente inammissibile, risponda a logiche politiche.

Uno stato che non garantisca il rispetto nelle sue acque delle regole per la sicurezza della navigazione stabilite dall'Organizzazione marittima internazionale (Imo) si rende responsabile di un illecito.

Ben ha fatto perciò l'Italia - come dichiarato dal Ministro dell’interno Angelino Alfano - a richiamare la Turchia al rispetto dei suoi obblighi internazionali.

Ezadeen e Blue Sky M 
I mercantili Ezadeen e Blue Sky M. hanno navigato a lungo in acque territoriali della Grecia. Tant'è che le forze marittime di quel paese avevano addirittura ispezionato la Blue Sky M. in vicinanza di Corfù, dichiarando di non aver rilevato irregolarità.

Presunta rotta dei due mercantili provenienti dai porti turchi di Didim e Mersin.

Eguale la sottovalutazione da parte greca dei rischi dell'Ezadeen, mercantile privo di documenti al comando di criminali comuni che ha transitato a lungo in zone costiere, sfuggendo apparentemente a qualsiasi dispositivo di controllo del traffico marittimo.

Sicurezza marittima europea
Nel groviglio di nodi della questione migratoria, la sicurezza dei mari adiacenti all'Europa presenta una rilevanza notevole. Lo scorso anno, il Consiglio Ue ha varato la Strategia di sicurezza marittima europea.

L'ambizioso progetto, ora in attesa di essere implementato con uno specifico piano di azione, avrà il suo banco di prova nel fenomeno delle navi ombra coinvolte nel traffico di migranti.

Non sono ancora chiare le intenzioni del Commissario Ue all'immigrazione, ma è chiaro che dovrà per prima cosa esigere dal suo paese una maggior attenzione alla sicurezza marittima. Non senza valutare la reale efficacia del tanto decantato sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (Eurosur) volto a impedire ingressi illegali nelle acque comunitarie.

Lotta al traffico di esseri umani
Da anni si parla di avviare una cooperazione mediterranea per evitare il proliferare della tratta di migranti nel quadro della lotta al crimine organizzato.

L'Italia a suo tempo si impegnò parecchio per l'approvazione nel 2000 del Protocollo di Palermo sul traffico di migranti via mare.

Non è sicuro che la Ue voglia intraprendere azioni per promuoverne l'applicazione con i paesi di partenza al fine di evitare la commissione delle condotte criminose. Anche perché i trattati Ue non prevedono una competenza comunitaria esclusiva.

Sembra invece che l'Italia, come dichiarato da Alfano, abbia avviato già una cooperazione in materia con Turchia ed Egitto. Se così fosse, c’è da auspicare che l'azione italiana non sia confinata nello stretto ambito della attività del Ministero dell'interno, ma assuma una veste adeguata, nel quadro della politica estera del paese.

Attore irrequieto e imprevedibile, la Turchia è in rotta con molti stati confinanti a cominciare da Cipro per via delle questioni energetiche del Mar di Levante.

L'appoggio incondizionato della Ue alle ambizioni cipriote e ai paralleli interessi greci non fa certo ben sperare nella capacità del Commissario Ue all'immigrazione di gestire al meglio i rapporti con la Turchia per i temi migratori e di sicurezza marittima.

Essendo scevra da riserve di principio, l’iniziativa diplomatica italiana nei confronti della Turchia è decisiva e imprescindibile.

Fabio Caffio è Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo.
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venerdì 9 gennaio 2015

Organizzata dall'ISAG


Lunedi., 19/01/2015 - ore 14.00-19.00

L'Italia, "potenza morbida": gli strumenti culturali della nostra politica estera

Roma, Camera dei Deputati
per informazioni (geografia2013@libero.it)

F35: una vittoria per le maestranze e le imprese italiane

Il programma F35
Cameri, un successo da consolidare
Vincenzo Camporini
12/12/2014
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Il Pentagono ha annunciato giovedì scorso le proprie decisioni in ordine ai centri di manutenzione europei che a partire dal 2018 avranno la responsabilità della manutenzione del sistema F35 nel quadrante europeo.

A suo tempo una risoluzione parlamentare aveva chiesto al governo di fare ogni sforzo per incrementare i ritorni industriali ottenibili dall’Italia per la partecipazione al programma.

Il Ministero della Difesa si è mosso con grande spirito di iniziativa, cercando di valorizzare al meglio gli ingenti investimenti già fatti, in particolare quelli per la costruzione a Cameri (Novara) della Faco (Final Assembly and Check Out) già ora impegnata nella costruzione dei primi velivoli destinati all’Aeronautica e alla Marina Italiane e, successivamente, alla Reale Aeronautica Olandese.

Una vittoria per le maestranze e le imprese italiane
Questa notizia farà stappare qualche bottiglia di spumante, perché oltre al lavoro diretto per la costruzione di componenti del velivolo (ali, strutture e impianti), che di per sé ha un forte potenziale di risvolti occupazionali, almeno pari al costo complessivo del programma, si consolida ora la prospettiva di attività di manutenzione di terzo livello per tutte le macchine schierate nel teatro operativo europeo, sia dei Paesi partecipanti al programma sia di quelli che ne diventeranno clienti, oltre ai velivoli americani schierati sulle basi europee.

E questa attività è destinata a durare per i prossimi quaranta anni!

Una vittoria della qualità del lavoro che le maestranze e le imprese italiane possono offrire, ma anche un successo significativo dell’azione politica del Ministro della Difesa, che ha saputo far valere le ragioni del ruolo dell’Italia nell’attuale contesto politico-strategico, pur in un quadro nazionale particolarmente difficoltoso.

Una vittoria, dunque, ma non senza qualche avvertimento. Infatti il surreale dibattito interno sul numero dei velivoli da acquisire (a prescindere dai compiti e dagli scenari!) non è certamente passato inosservato a Washington e nelle altre capitali dei potenziali concorrenti.

Regno Unito nostro concorrente
Già la decisione dell’allora Ministro della Difesa Amm. Di Paola di ridurre da 135 a 90 il totale delle macchine ipotizzate per AM e MM aveva portato ad un ridimensionamento del ruolo di Finmeccanica quale ‘second source’ per le ali destinate all’intero programma, ma la richiesta della Camera dei Deputati di dimezzare l’impegno finanziario italiano ha certamente sollevato non poche perplessità circa l’affidabilità del nostro paese e la sua reale volontà di rimanere agganciato all’evoluzione della tecnologia militare occidentale.

Di qui ulteriori difficoltà nel negoziato con le autorità Usa e con Lockheed Martin, con la concreta possibilità che ci sfuggissero le opportunità di lungo periodo offerte dal programma, a favore di altri partner, prima fra tutti la Gran Bretagna.

Non a caso è stato precisato che eventuali necessità logistico-operative che non potessero essere soddisfatte dalla Faco di Cameri, dopo un quinquennio verrebbero dirottate in UK, il che costituisce un segnale ed un avvertimento importante: nel caso non si riuscissero a mantenere gli impegni assunti, sono pronte e disponibili alternative tecnicamente ed economicamente valide.

Opportunità preziosa
La prospettiva di una leadership italiana in Europa per la gestione del più complesso programma per la difesa occidentale di tutta la storia è davvero allettante; le nostre istituzioni si sono mosse con grande sagacia e con singolare lungimiranza per garantire alla nostra industria e al nostro paese un ruolo di primo piano, con investimenti tutto sommato modesti.

Le capacità operative delle nostre forze armate ne usciranno solidamente rafforzate e perfettamente integrabili con quelle degli alleati e dei partner.

Cerchiamo di non buttare alle ortiche questa straordinaria, concreta opportunità, che non solo ci consentirà di tenere il passo con gli Alleati tecnologicamente più avanzati, ma garantirà per i prossimi decenni importanti ritorni occupazionali e industriali, impedendo l’emarginazione delle nostre imprese dai più avanzati e importanti sviluppi tecnologici. E’ una opportunità preziosa, che non dobbiamo farci sfuggire.

Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, è vicepresidente dello IAI.
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