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venerdì 31 luglio 2015

Tendenza al ribasso per le spese militari italiane

Spese per la difesa
In Europa l’Italia canta fuori dal coro
Paola Sartori, Alessandro Marrone
22/07/2015
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Il 2015 fa registrare trend in crescita per i bilanci della difesa dei principali Paesi europei, che hanno annunciato incrementi, anche consistenti, della loro spesa militare.

La Germania programma un aumento del 6,2% nei prossimi cinque anni, con un bilancio della difesa che dovrebbe arrivare a 35 miliardi nel 2017. Anche Parigi ha annunciato ad aprile 2015 un aumento consistente, di circa 3,9 miliardi, rispetto alle risorse precedentemente previste per il triennio 2016-2019. La Gran Bretagna infine ha recentemente disposto per un incremento annuo dello 0.5% in termini reali del bilancio della difesa fino al biennio 2020-2021.

Queste misure, che puntano a garantire adeguate capacità per affrontare le nuove sfide poste dalla crescente instabilità internazionale, rispondono positivamente all’impegno preso in ambito Nato di incrementare le spese per la difesa al livello di 2% del Pil entro il 2024.

Tendenza al ribasso per le spese militari italiane
L’Italia, invece, continua a tagliare la propria spesa per la Funzione Difesa, dai 14 miliardi del 2014 ai 13,2 miliardi del 2015 e poi, in base ai tagli previsti, a 12,7 miliardi nel 2017.

Inoltre, il Documento programmatico pluriennale 2015-2017 conferma un altro trend negativo: il persistere di una deleteria ed inefficiente ripartizione della spesa.

Infatti, se nel 2014 il 67,6% delle risorse è stato destinato al Personale, il 22,9% all’Investimento ed il 9,5% alla voce Esercizio, il taglio alla Funzione Difesa di circa 900 milioni di euro tra il 2014 e il 2015 va a pesare soprattutto sull’Investimento, con una riduzione di questa voce di circa un quarto.

Similmente, nel 2015 anche il budget destinato all’Esercizio subisce una decurtazione di circa il 14% rispetto all’anno precedente, mentre le risorse per il Personale non solo non subiscono tagli, ma registrano un incremento dell’1,6%.

Ben lontane dall’avvicinarsi all’ideale ripartizione 50-25-25 delle spese per la Funzione Difesa tra Personale-Esercizio-Investimento, le previsioni per il triennio 2015-2017 ne confermano lo squilibrio.

Mentre rimangono sostanzialmente invariate le spese per Personale ed Esercizio, gran parte - circa 400 milioni - della riduzione programmata per la Funzione Difesa va a gravare sugli Investimenti, che nel 2017 dovrebbero scendere, per la prima volta dal 2006, sotto i due miliardi, con una riduzione di oltre il 17% rispetto al 2016.

Le ripercussioni negative per lo strumento militare derivano, dunque, non solo dalla generale ristrettezza delle risorse, ma anche e soprattutto dalla loro distribuzione quanto mai sbilanciata, che rischia di avere serie ripercussioni in termini di capacità operative.

Rimbalzo positivo delle esportazioni dell’industria della difesa
Una nota positiva si registra, invece, per quanto riguarda l’industria italiana dell’aerospazio, sicurezza e difesa, relativamente alle autorizzazioni governative alle esportazioni italianenel 2014, in crescita rispetto all’anno precedente. Come riporta lo studio IAI Bilanci e industria della difesa: tabelle e grafici 2015, questo valore è salito a 2.313 milioni di euro, rispetto ai 1.522 del 2013 che ha rappresentato il dato peggiore dal 2005.

Nello specifico, i settori trainanti in questo senso sono stati aeronautica, elicotteristica, elettronica per la difesa e sistemi d’arma, con Agusta Westland, Alenia Aermacchi e Selex ES quali principali aziende destinatarie delle autorizzazioni.

Con riferimento all’area geopolitica di suddivisione delle esportazioni autorizzate, i principali acquirenti sono stati i Paesi Ue/Nato, per il 55,7% del totale, tra i quali la Gran Bretagna al primo posto con l’11,5%, seguita da Polonia (11,3%), Germania (7,6%) e Stati Uniti (7,2%).

Va evidenziato tuttavia che, nonostante questo rimbalzo dopo la caduta dell’export registrata nel 2013, nel 2014 i valori relativi alle autorizzazioni continuano ad assestarsi su livelli inferiori rispetto ai dati dei precedenti sette anni: tra il 2006 ed il 2012 la media delle autorizzazioni è stata infatti superiore ai 2.313 milioni di euro raggiunti di nuovo l’anno scorso.

In questo contesto, la continua contrazione delle spese per la Funzione Difesa potrebbe avere ricadute negative anche sull’industria nazionale dell’aerospazio, sicurezza e difesa, oltre che ovviamente sulla capacità operativa delle forze armate italiane e sulla posizione internazionale dell’Italia rispetto ad alleati europei che invece hanno ripreso a investire nella difesa.

Infatti, i recenti e prossimi tagli alla voce Investimento del bilancio della difesa determinano una contrazione della domanda interna per il rinnovamento degli equipaggiamenti e sistemi d’arma, mettendo a rischio i programmi industriali per lo sviluppo di prodotti e tecnologie.

Ciò ha inevitabili conseguenze anche sulle capacità di esportazione delle imprese nazionali, poiché la domanda interna rappresenta un impulso importante per lo sviluppo di prodotti innovativi e/o l’ammodernamento di quelli già commercializzati, mettendo quindi le imprese italiane in grado di competere sul mercato internazionale dove la competizione da parte di Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti si fa sempre più agguerrita.

Alla luce di questi dati, è ancora più evidente la necessità di un investimento nella difesa da un lato coerente con le necessità delle forze armate e gli obiettivi internazionali dell’Italia, dall’altro efficiente nell’allocazione delle risorse aumentando le spese per Esercizio e Investimento grazie ai risparmi possibili e necessari sul Personale.

Per l’efficienza e la qualità della spesa nella Funzione Difesa - come per molti altri aspetti dello strumento militare nazionale -, l’attuazione delle riforme previste dal Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa sarà a dir poco cruciale.

Paola Sartori è Assistente alla Ricerca nel Programma Sicurezza e Difesa dello IAI. Twitter: @SartoriPal.
Alessandro Marrone è Responsabile di Ricerca nel Programma Sicurezza e Difesa dello IAI. Twitter: Alessandro_Ma
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giovedì 30 luglio 2015

Politica di Difesa Politica Industriale e fare sistema

Settori strategici a elevata tecnologia
Ue, Italia e politica industriale
Roberta Maldacea, Alessandro Marrone
19/07/2015
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“Non c’è politica di difesa senza industria della difesa”. Il commissario Ue per il mercato interno, l'industria, l'imprenditoria e le piccole e medie imprese, Elżbieta Bieńkowska, intervenendo alla conferenza organizzata da Avio e IAI lo scorso 1̊ luglio a Roma, ha esplicitato alcuni concetti forti riguardo alla politica industriale europea per il settore dell’aerospazio, sicurezza e difesa.

Fondi Ue per la ricerca nella difesa
Il commissario Bieńkowska è responsabile dei portafogli prima divisi tra due Direzioni Generali: quella che si occupava di mercato interno e concorrenza e quella che si occupava di industria. In più, ha un focus specifico sulle Piccole e Medie Imprese (PMI) e sulla politica spaziale europea.

Nel complesso, ha quindi il compito di combinare la logica concorrenziale del mercato interno Ue con il mandato istituzionale di sostenere la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo industriale anche con finanziamenti pubblici o misure ad hoc.

Si tratta perciò di un ruolo importante per i settori strategici ad elevata tecnologia, come l’aerospazio, sicurezza e difesa, che hanno una forte dimensione di politica industriale – nonché ovviamente di politica di difesa, in quanto assicurano la sicurezza degli approvvigionamenti alle forze armate europee e quindi la loro capacità di operare in autonomia.

In particolare, in questo perimetro il settore aereonautico racchiude eccellenze tecnologiche molto competitive, tra cui spicca il sito di Cameri, mentre il settore spaziale vede l’Europa alla frontiera della tecnologia e con una filiera europea molto integrata grazie a progetti come Copernicus e Galileo.

L’industria della difesa ha finora compensato una drammatica riduzione degli investimenti militari da parte della maggioranza degli Stati Ue con l’export in mercati terzi e sta cercando di ripartire anche attraverso la cooperazione civile-militare ad esempio nei progetti Horizon 2020 e in particolare con i finanziamenti per le tecnologie duali.

In questo contesto, è rilevante l’accento posto da Bieńkowska sulla finalizzazione della Preparatory Action Ue per il finanziamento alla ricerca nella difesa per il triennio 2017-2019: sarebbe la prima volta nella storia dell’Unione che parte del bilancio comunitario finanzi direttamente il settore militare.

Le proposte della Commissione riguardano inoltre il completamento del mercato interno, la digitalizzazione delle imprese e lo sviluppo di un contesto favorevole all’imprenditoria (ad esempio dal punto di vista normativo e di accesso al credito). Al riguardo il ruolo delle Pmi può essere risolutivo in quanto sono spesso all’avanguardia nel campo dell’innovazione tecnologica, ma soffrono per il limitato accesso ai programmi di finanziamento.

L’Italia e il fare sistema
Il caso specifico italiano vede un mercato interno di dimensioni relativamente piccole che subisce una certa dispersione dei finanziamenti, già ridotti in termini quantitativi. Pertanto, urge un piano complessivo che ripianifichi a livello quantitativo e qualitativo la distribuzione degli investimenti, soprattutto a medio e lungo termine.

L’obiettivo è un sistema che connetta meglio il mondo dell’industria e quello della ricerca, cercando nuove sinergie tra le eccellenze del Paese. Le tecnologie duali possono essere considerate come un punto di convergenza nella ridefinizione dei rapporti tra i principali attori privati eistituzionali, soprattutto in una fase in cui il settore pubblico non è in grado di sostenere autonomamente lo sviluppo tecnologico.

Ciò significa realizzare un sistema che crei un’osmosi tra pubblico e privato come avviene in altri Paesi quali ad esempio gli Stati Uniti, dove realtà private e civili quali Google stanno investendo su tecnologie satellitari cruciali anche per la difesa americana e hanno quindi il sostegno della Pentagono. In tal senso diventa fondamentale la capacità di dotarsi di sistemi organizzativi flessibili, e di modelli che stimolino tutti i livelli di produzione e incoraggino il cambiamento.

La presidenza del Consiglio riveste in questo senso un ruolo istituzionale di cruciale importanza. Specialmente nei settori strategici ad alta tecnologia, ha il compito infatti di fungere da catalizzatore e cabina di regia per creare un terreno favorevole alla collaborazione tra eccellenze nazionali e investimenti esteri.

Ad esempio, una proposta sul tappeto riguarda le sinergie tra gli attori istituzionali italiani, attraverso la costituzione di gruppi di utenti comprendenti diversi ministeri che possano aggregare la domanda per lo sviluppo di nuove tecnologie duali, compresi gli aeromobili a pilotaggio remoto.

Per quanto riguarda in particolare il Ministero della Difesa, come auspicato anche dal Libro Bianco, si tratta da una parte di individuare le tecnologie strategiche sulle quali investire e dall’altra di tenere conto della loro applicazione anche in campo civile nonché della loro esportabilità. Ancora una volta le tecnologie duali possono essere risolutive.

L’ottimizzazione delle risorse disponibili da parte governativa, l’aggregazione della domanda tra utenti pubblici, l’interconnessione tra realtà industriali e mondo dell’università e della ricerca per incrementare lo sviluppo di nuove tecnologie, ed un lavoro di sponda tra Roma e Bruxelles sono i tasselli di un puzzle che sta al sistema-Paese comporre, e sul quale si gioca la capacità dell’Italia di attirare investimenti stranieri e rimanere competitiva nel mercato mondiale.

Roberta Maldacea è tirocinante nel Programma Sicurezza e Difesa IAI. Alessandro Marrone è Responsabile di Ricerca nel Programma Sicurezza e Difesa IAI (Twitter: Alessandro_Ma).
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venerdì 17 luglio 2015

Verso una difesa europea

Dopo il Vertice di giugno
Difesa europea: se non ora, quando?
Giovanni Faleg
10/07/2015
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Come ci si attendeva, il Consiglio europeo del 25 e 26 giugno ha invitato l’Alto Rappresentante, Federica Mogherini, a continuare la preparazione di una nuova Strategia europea di sicurezza, a 12 anni dalla prima dottrina strategica elaborata da Javier Solana (European Security Strategy, 2003).

Ciononostante le conclusioni del Vertice sono state deludenti: s’è parlato prevalentemente dei flussi di migranti provenienti dal Mediterraneo - tema certamente prioritario nell’agenda politica europea -, ma e’ mancata una presa di posizione forte - altrettanto necessaria - sulla necessita’ di maggiore integrazione nel settore della difesa. Il testo del Consiglio contiene una lunga lista di iniziative volte a rafforzare la cooperazione nell’ambito della Politica di Sicurezza e di Difesa comune (Psdc), senza pero’ fornire un quadro condiviso e una roadmap ben definita. Se si esclude la riflessione strategica, quindi, pochi passi avanti sono stati fatti rispetto al Consiglio della Difesa del 2013.

Eppure, una difesa europea più integrata ed efficace e’ resa quanto mai necessaria dal clima di instabilità nel vicinato europeo (in particolare, nel Mediterraneo e in Ucraina) e dalla mancanza di capacita’ militari a livello nazionale. Se l’Europa non e’ capace di sviluppare un piano d’azione ora, allora quando?

La task force del Centre for European Policy Studies, presieduta da Javier Solana, ha recentemente pubblicato un rapporto sulla creazione di una European Defence Union, o Unione di Difesa europea (Ude), sulla modello del processo che ha portato all’Unione monetaria. Il rapporto, presentato in varie capitali europee a partire da marzo 2015, propone un upgrade della Psdc attraverso un pacchetto di riforme istituzionali, armonizzazione delle capacita’ militari e aggiornamento strategico, unite da un framework comune. La realizzazione della Unione di Difesa si dovrebbe effettuare in fasi progressive e sulla base delle raccomandazioni di un comitato indipendente di esperti, simile al Comitato Delors. Una difesa integrata permetterebbe all’Unione europea di disporre dei mezzi appropriati per risolvere le crisi nel Mediterraneo e Medio Oriente, e di sostenere la Nato nel contenere la minaccia russa ad Est.

Europa mai così insicura negli ultimi 20 anni
Rispetto a dodici anni fa, l’Europa e’ oggi circondata da un arco di instabilità che va dal Sahel al Corno d’Africa, attraverso il Medio Oriente, il Caucaso e fino alle frontiere dell’Europa orientale. Le minacce non sono solo militari, ma variano dalla proliferazione di armi di distruzione di massa agli attacchi cyber, che mettono a repentaglio la sicurezza energetica ed economica. La radicalizzazione e gli estremismi nel vicinato europeo, inoltre, rendono più difficile la separazione fra le sfide interne ed esterne ai confini europei: l’uso del fenomeno migratorio come serbatoio del terrorismo di matrice jihadista (Isis) ne e’ un chiaro esempio.

Allo stesso tempo, l’aggressione della Russia in Ucraina ha rimesso in discussione l’ordine regionale post-guerra fredda, risvegliando paure di attacchi armati e occupazioni negli Stati membri dell’Est europeo. Le azioni militari e ibride dei russi hanno messo in evidenza la fragilità dell’Unione e la difficoltà di mantenere stabili approvvigionamenti energetici.

Di fronte a queste sfide e all’aggravarsi degli scenari di crisi, l’Europa e’ rimasta divisa e incapace di reagire. Interessi e culture strategiche differenti hanno fino ad ora impedito di rafforzare le strutture comuni, migliorare le procedure in ambito di politica di sicurezza e di difesa ed incrementare le capacita’, militari e civili. Il Parlamento europeo ha stimato che i costi della non-Europa della difesa potrebbero aumentare da 26 miliardi di euro (2013) a 130 miliardi nei prossimi anni, a fronte di un vicinato strategico più instabile. In aggiunta al fattore economico, imperativi politici, morali e strategici dovrebbero spingere l’Unione a sviluppare un piano per una difesa integrata.

Verso l’Unione di Difesa europea
Il Trattato di Lisbona permetterebbe di sviluppare un’Unione di Difesa europea senza modificare i trattati, cominciando da una serie di modifiche istituzionali che stabiliscano un nuovo sistema di governance, più forte dell’attuale politica comune di sicurezza e difesa (Pcds). Punto cruciale della nuova unione e’ l’utilizzo della cooperazione permanente strutturata, al fine di permettere agli stati volenterosi di procedere con il piano di integrazione, come del resto e’ stato fatto nel caso dell’Euro.

Altre misure prioritarie sono la creazione di un quartier generale permanente dell’Unione (attualmente “prestato” da alcuni stati membri secondo le necessita’ operative); un aumento delle responsabilità del Parlamento europeo in materia di difesa, attraverso la creazione di un comitato parlamentare apposito; l’introduzione di un Eurogruppo dei Ministri della Difesa; il rafforzamento delle competenze del Servizio diplomatico europeo e della Agenzia europea di Difesa nel definire linee guida comuni per la pianificazione strategica e l’armonizzazione delle capacita’ militari degli stati membri, in particolare attraverso progetti “pooling and sharing”.

Lo nuova strategia di sicurezza deve rappresentare il primo passo di un processo più’ ampio, volto alla realizzazione di un’Unione della difesa “a tappe”, secondo il modello dell’Unione monetaria. L’attesa o l’indecisione possono comportare costi molto alti, anche in termini di vite umane. Mentre si parla di difesa, il terrorismo colpisce Tunisi e Parigi. L’Europa deve imparare a difendersi, dalle minacce esterne e dalle proprie esitazioni.

Giovanni Faleg, Consulente di ricerca IAI e rapporteur del Rapporto CEPS “More Union in European Defence”
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giovedì 2 luglio 2015

Giustizia Militare: verso la riforma

Libro bianco
La giurisdizione militare 
Antonino Intelisano
24/06/2015
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Il “Libro bianco per la sicurezza internazionale e la Difesa”, di recente pubblicazione, costituisce la base per lo sviluppo delle soluzioni attuative, che dovranno essere affinate e realizzate in tempi rapidi, per rendere lo strumento militare adeguato ad affrontare le nuove realtà che lo scenario internazionale presenta.

Momento essenziale della revisione è l’individuazione del modello organizzativo, che consenta di affrontare con successo le sfide odierne e in una prospettiva di medio termine.

Ma che cos’è un ‘libro bianco’? Un saggio di sociologia dell’organizzazione, con annessi piani di ingegneria istituzionale? Un insieme ragionato di propositi di realizzazione? Uno strumento di programmazione?

Non ‘libro dei sogni’, ma direttiva ministeriale
È ragionevole ritenere, sinteticamente, che i profili suddetti concorrano a delineare la natura proteiforme di simili documenti. Se si guarda all’esperienza italiana, in generale, non in ambito Difesa, i libri bianchi sono stati qualche volta definiti i “libri dei sogni”.

I compilatori del documento pubblicato dal Ministero evidentemente sono consapevoli del pericolo e nella parte finale dell’elaborato, gli attribuiscono la natura di direttiva ministeriale per tutte le articolazioni dell’Amministrazione della Difesa, sicché gli obiettivi indicati, ove riconosciuti come raggiungibili a normativa vigente, “vanno immediatamente perseguiti”.

L’elaborazione di dettaglio per la revisione della governance, l’adeguamento del modello operativo, una nuova normativa in materia di personale, la politica scientifica, industriale e di innovazione tecnologica saranno oggetto specifico di attività di una apposita struttura e di commissioni di alto livello tecnico giuridico, secondo un cronoprogramma definito.

In tale quadro si inserisce la revisione complessiva delle disposizioni normative e regolamentari esistenti, al fine di rinnovarle, semplificarle e adeguarle alle nuove esigenze.

Giustizia militare, una sorte segnata
Le previsioni concernenti la giurisdizione penale militare sono affidate a poche righe nel capitolo “Cittadini e forze armate”, par. 252: “Il Governo intende proseguire lo sforzo di maggiore efficienza del sistema e di razionalizzazione studiando anche la possibilità di forme giuridicamente evolute basate sul principio di unicità della giurisdizione penale e che prevedano di dotarsi, in tempo di pace, di organi specializzati nella materia penale militare incardinati nel sistema della giustizia ordinaria”.

La sorte della Giustizia militare appare segnata. Nessuna sorpresa: è già accaduto, senza traumi istituzionali, in Francia e Belgio.

Sostenere che la Costituzione, a normativa invariata, non consenta la riforma è una mistificazione, perché l’esistenza di organi specializzati di giurisdizione sarà assicurata con modalità ordinative differenti.

Come sanno gli esperti di diritto pubblico, la funzione non si identifica con la sua “copertura amministrativa”, anche se qualcuno cercherà di fare credere il contrario.

Le resistenze delle derive corporative
È dal 1956 che la giurisdizione penale militare, a seguito della drastica riduzione dell’area di competenza, vivacchia. Falliti i molteplici tentativi di ridarle fiato, mediante il recupero di classi di reati comuni, “militarizzandole”, il dibattito tra innovatori e conservatori si è stancamente trascinato fino ai giorni nostri.

È facile prevedere derive corporative alla programmata riforma. Sono nel conto le resistenze e la vischiosità degli apparati, nella dialettica tra pulsioni di categoria e travestimenti verbali, nella quale buona parte della magistratura militare non si riconosce: chi vive come problema professionale l’ossimoro della insostenibile leggerezza della materia riservata alla giurisdizione militare e non condivide la concezione minimalista dei cultori dello status quo.

La realizzazione di nuovi moduli organizzativi consentirà, nell’indirizzo del Governo, non solo la soluzione dei problemi della speciale giurisdizione, ma anche il reimpiego di risorse umane e di professionalità nell’ambito della Giustizia ordinaria, in affanno per note cause.

Sostenere che il mantenimento della conformazione attuale giovi alla speditezza o comunque propizi la ragionevole durata dei processi costituisce strumentale artificio dialettico.

Potenziali effetti positivi della riforma
I dati relativi alla “produttività” nell’ambito della giurisdizione militare sono al limite dell’insignificanza statistica, non per inerzia degli addetti, ma per la pochezza numerica e qualitativa del contenzioso penale. La sospensione, o se si preferisce, la fine del sistema di reclutamento obbligatorio, la leva, ha determinato la caduta verticale delle infrazioni, dovuta, sul piano qualitativo, anche ad altro fenomeno.

Il volontariato comprende soggetti, psicologicamente motivati, che molto frequentemente aspirano al passaggio nei corpi di polizia ad ordinamento militare o civile e informano la loro condotta in servizio a standard di correttezza non paragonabili a quelli sperimentati in regime di leva obbligatoria.

Quanto alla particolare attitudine della giurisdizione speciale a interpretare valori e principi dell’ordinamento militare, si tratta di una considerazione di principio, corretta in via tendenziale ma inattuata, ove si consideri che i reati di maggior gravità ricadono dal 1956 nella giurisdizione ordinaria.

La riforma, con un paradosso solo apparente, potrebbe porre le premesse per una revisione complessiva anche della parte sostantiva della normativa penale militare, facendo cadere preclusioni e riserve di fatto registratesi in materia.
*Articolo pubblicato dalla rivista on-line “Rassegna della Giustizia Militare”, Ministero della Difesa.

Antonino Intelisano è procuratore generale militare presso la Cassazione.
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