Impegno italiano contro il Califfo Iraq, se per i nostri cambiano le regole di ingaggio Mario Arpino 08/10/2015 |
Verrebbe da porsi anche una domanda: perché per l'attacco alla Libia, con mesi di bombardamenti sui nostri stessi interessi nazionali, nessuno ha avuto niente da dire? Mistero. Se si bombardano i tagliagole in Italia si protesta, se si bombardano i nostri interessi tutto va bene. Prendiamone atto, e ringraziamo chi di dovere.
Verso un maggior contributo italiano
Nel quadro delle operazioni contro il Califfato, il pattugliamento spetta al Centocom, il Comando Centrale Usa geograficamente competente, dove siedono permanentemente anche i rappresentanti dei partecipanti alla coalizione.
Il distaccamento svolge a supporto di questo Comando, quindi a beneficio di tutti gli alleati, un ruolo di rilievo fornendo in tempo reale buona parte dell’intelligence necessaria per le operazioni.
Ora che queste attività si stanno intensificando, è assai probabile - forse è già stato fatto nell'ambito della "secret diplomacy" - che sia richiesto anche all’Italia, che ha già sul terreno, in qualità di addestratori, paracadutisti della Folgore e carabinieri, di allargare il proprio contributo partecipando con gli stessi velivoli anche agli attacchi contro le forze dello “stato islamico”.
Tornado sull’Iraq
Nulla di nuovo: a venticinque anni da Desert Storm - quella che i piloti chiamano la “guerra dimenticata” - i Tornado forse ritorneranno a sganciare bombe sull’Iraq.
Di precisione, questa volta, come in Libia, visto che velivoli, armamenti, tattiche e addestramento da allora sono stati significativamente aggiornati.
Il Governo ha fatto sapere che questa è solo un’ipotesi da valutare, ma certamente l’Aeronautica Militare è pronta a farlo a poche ore dall'ordine, essendo i Tornado multiruolo, gli equipaggi polivalenti e l'armamento con ogni probabilità già disponibile in loco.
D’altro canto, mantenere prontezza immediata per ogni evenienza è compito di istituto delle Forze Armate. Sempre che continuino ad essere in condizione di svolgerlo, considerati i nuovi tagli già annunciati nelle incombenti leggi di stabilità.
Iraq e Siria, il diverso approccio italiano
Perché in Iraq forse interverremo a fuoco, ed in Siria no? Buona domanda.
Innanzitutto è questione di legittimità: il governo iracheno ha chiesto a tutta la coalizione di bombardare lo “stato islamico”, mentre la Siria lo ha chiesto solamente ai russi.
Secondo, perché, anche grazie al nostro contributo di intelligence, in Iraq la situazione sul terreno è molto più chiara. Quindi eventuali errori - sempre possibili - sono assai meno probabili.
I cacciabombardieri servono?
Visto che parliamo di bombe, sorgono spontanei altri interrogativi.
Si è mai accorto nessuno che ogni volta che il nostro Parlamento autorizza nelle varie coalizioni il contributo della nostra Aeronautica, da 25 anni invia i "cattivi" cacciabombardieri?
Chi ha partecipato alle operazioni belliche di Desert Storm in Iraq nel 1991 ricorda ancora le polemiche contro questo tipo di impiego. Tornado che, successivamente, assieme agli Amx-Ghibli hanno sganciato bombe contro le batterie che martoriavano Sarajevo e, ancora, per la liberazione del Kosovo. E così in Iraq, e poi ancora in Afganistan.
Allora, i cacciabombardieri servono o non servono? Sono o non sono gli strumenti della nostra politica più frequentemente utilizzati? E allora, dobbiamo uscire dal paradosso: o cambiamo politica, o la smettiamo con le lagne ideologiche sui cattivi cacciabombardieri. Incluso l'F-35 Joint Strike Fighter, unico successore di Tornado e Amx.
Fatte queste riflessioni, semplici e forse ingenue, è chiaro che ogni decisione in termini di intervento armato, di approvvigionamento dei mezzi e di reperimento dei fondi ricade nelle responsabilità del Parlamento.
Le forze Armate si faranno trovare pronte ed eseguiranno bene le missioni loro ordinate. Anche quelle sbagliate, come in Libia nel 2011.
Ufficiale pilota in congedo dell’aeronautica Militare, Mario Arpino collabora come pubblicista a diversi quotidiani e riviste su temi relativi a politica militare, relazioni internazionali e Medioriente. È membro del Comitato direttivo dello IAI.
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