Partiti europei Renzi e le primarie europee, tutt’altro che una novità Enrico Calossi 23/02/2016 |
La battuta si è inserita all’interno di un prolungato botta e risposta tra il Presidente del Consiglio e il Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Tralasciando la polemica contingente, ci spinge a riflettere su come, nel 2014, furono scelti i candidati alla Presidenza. Nonostante la proposta di Renzi sia apparsa innovativa a molti osservatori, in realtà non si tratta di una novità assoluta.
Le primarie dei Socialisti
In realtà il Partito dei Socialisti Europei (del quale il Pd è membro) aveva già deciso di utilizzare le primarie per scegliere il proprio spitzen kandidat per le elezioni del 2014.
Secondo il regolamento adottato dal Pse, nell’ottobre 2013, ogni candidato avrebbe dovuto ricevere l’endorsement di sei partiti membri del Psee di cinque membri del segretariato. Ogni partito avrebbe potuto nominare solo un candidato.
In base a questi criteri quindi solo sei candidati potevano essere nominati per la corsa alle primarie. Nel novembre 2013 sarebbe cominciata la campagna elettorale. Le operazioni di voto, gestite direttamente dai partiti membri in linea con le loro tradizioni nazionali, si sarebbero svolte tra l’inizio di dicembre e la fine di gennaio.
Ogni partito membro avrebbe quindi inviato i propri delegati, divisi in proporzione ai voti ottenuti dai candidati nei diversi paesi, ad un congresso straordinario che si sarebbe svolto nel febbraio 2014 a Roma. Le cose andarono diversamente.
Infatti, tra i nomi che circolavano, quello del Presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, emerse con forza, rimanendo ben presto l’unico candidato in lizza. Le primarie quindi non si svolsero: non per mancanza di volontà del Pse, ma per assenza di altri candidati.
Pertanto, il congresso di Roma (lo stesso che accolse il Pd nel Pse) investì ufficialmente Schulz come candidato del Pse, con la significativa eccezione dei laburisti inglesi che si rifiutarono di sostenere un candidato esplicito alla Presidenza.
Le primarie dei Verdi Europei
Anche il Partito Verde Europeo adottò e poi applicò effettivamente il metodo delle primarie. La procedura, come per i socialisti, prevedeva una prima fase nell’ottobre 2013 di endorsement dei potenziali candidati da parte di almeno cinque partiti nazionali per candidato. Ne emersero quattro: l’italiana Monica Frassoni (copresidente del Pve), il francese José Bové (parlamentare europeo) e le tedesche Rebecca Harms (vicepresidente del gruppo Gue-Ngl al parlamento europeo) e Ska Keller (parlamentare europea).
La modalità di votazione è stata unica in tutti i paesi membri. Gli iscritti ai partiti nazionali e i simpatizzanti hanno potuto votare online, sottoscrivendo anche un documento di condivisione dei principi politici degli ambientalisti, in un periodo di due mesi e mezzo, fino al 28 gennaio 2014.
Keller e Bové risultarono i più votati e, in quanto uomo e donna, secondo la tradizione verde, furono indicati entrambi come candidati alla carica di Presidente della Commissione. La partecipazione non fu però massiccia: solo 22.676 elettori (in tutta Europa!) aderirono all’esperimento.
Gli altri candidati alla Presidenza e gli altri Europartiti
Gli altri spitzen kandidaten furono scelti dai delegati dei partiti nazionali nei congressi straordinari dei rispettivi Europartiti. Il greco Alexis Tsipras fu scelto nel dicembre 2013 dal Congresso del Partito della Sinistra Europea, senza alcun concorrente. Anche l’ex premier belga Guy Verhofstadt fu scelto senza oppositori interni nel meeting del partito liberale Alde.
Infine, nel marzo 2014, in occasione del congresso del Ppe a Dublino, l’ex premier lussemburghese Jean-Claude Juncker fu eletto con 382 preferenze contro le 245 del francese Michel Barnier, commissario europeo.
Il quadro estremamente diversificato si completa con gli altri Europartiti che non hanno presentato candidati alla Presidenza. Alcuni hanno sostenuto i candidati dei principali Europartiti, come il Partito Democratico Europeo con Verhofstadt e l’Alleanza Libera Europea con Ska e Bové; altri, come i Conservatori e Riformatori Europei (Erc) e i vari gruppi euroscettici o antieuropeisti, hanno duramente contestato l’esperimento degli spitzen kandidaten, a causa della potenziale legittimazione elettorale e della possibile politicizzazione della Commissione.
Verso le elezioni del 2019
Oggi, oltre ai vari attori che rifiutano la politicizzazione della Commissione Europea, altri contestano che la scelta del Presidente debba avvenire tramite le elezioni Europee e preferiscono che siano i governi (legittimamente eletti) a scegliere le cariche Europee.
Altri ancora, pur accettando il legame tra esito delle elezioni e scelta del Presidente (come, per altro, indicato dal trattato di Lisbona), contestano lo strumento delle primarie, considerandole uno strumento populista ed estraneo alla tradizione nazionale di molti paesi membri.
Di sicuro, il tema della legittimazione democratica delle cariche europee, compresa la Presidenza della Commissione, rimane di profonda attualità.
L’ampio ventaglio delle modalità decisionali adottate dagli attori politici europei e le scelte adottate in altri contesti federali (ad esempio le primarie statunitensi) o nei paesi membri (come le primarie dei socialisti e dei democratici in Francia e in Italia), offrono agli attori stessi, alla società civile e agli studiosi un ricco materiale da analizzare e numerosi spunti per proporre soluzioni che siano all’altezza delle sfide che l’Unione dovrà affrontare nei prossimi anni.
Enrico Calossi, California State University, ex coordinatore osservatorio sui partiti politici e la rappresentanza a EUI.
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