Uno degli aspetti più significativi del testo di riforma costituzionale riguarda, accanto al superamento del c.d. bicameralismo perfetto, l’abbandono del modello di decentramento legislativo introdotto in Costituzione con la riforma del 2001.
Legislazione concorrente addio Fin dalla sua introduzione, con la formazione delle prime quattro regioni a statuto speciale, ancor prima che nascesse formalmente la Repubblica, il regionalismo italiano ha rappresentato un modello di decentramento incompiuto.
Nella Costituzione repubblicana, venne riconosciuta alle Regioni, in alcune materie elencate nell’allora art. 117, una potestà legislativa concorrente con quella dello Stato, da esercitarsi nel quadro dei principi fondamentali fissati dalla legge dello Stato e nel rispetto rigoroso del principio di tutela dell’interesse nazionale; alle Regioni veniva attribuita altresì la competenza ad emanare norme attuative di leggi dello Stato, se così previsto dalla legge medesima.
La proposta di istituire una seconda camera, il Senato, che fosse almeno in parte rappresentativa delle introdotte autonomie costituzionali, venne invece respinta essendo prevalsa l’opzione per il modello del bicameralismo perfetto, con la conseguenza che le Regioni furono escluse dal processo decisorio nazionale.
Nel testo vigente della Costituzione, l’art.117 come modificato nel 2001 riconosce alle Regioni (ed alle Province autonome) una potestà legislativa paritaria rispetto a quella dello Stato, essendo venuto formalmente meno il limite della tutela dell’interesse nazionale all’esercizio di tale loro competenza.
Accanto alle materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, tra le quali figurano la politica estera e i rapporti internazionali e con l’Unione europea dello Stato, il vigente art. 117 Cost. disciplina nel terzo comma la categoria delle materie di legislazione concorrente, delle Regioni e dello Stato, tra le quali al primo posto vengono indicati i “rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni”; il successivo comma 4 attribuisce poi alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
L’esercizio delle competenze “esterne” delle Regioni Tali rapporti esterni delle Regioni sono condotti non solo attraverso lo sviluppo di attività promozionali all’estero o mediante iniziative di mero rilievo internazionale ma anche, grazie alla formalizzazione nel testo costituzionale di taluni approdi della giurisprudenza costituzionale, attraverso la stipulazione di trattati con Stati terzi, retti dal diritto internazionale e del cui rispetto risponde, sul piano internazionale, la Repubblica come soggetto unitario (art. 117, 9° comma).
Ulteriore estrinsecazione della riconosciuta titolarità, in capo alle Regioni, di rapporti internazionali e con l’Unione europea, Ue, è costituita dal potere/dovere per le Regioni di provvedere direttamente, nelle materie di loro competenza, all’esecuzione e attuazione dei trattati internazionali nonché degli atti dell’Ue, nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato; alle stesse condizioni, viene riconosciuto il diritto delle Regioni di partecipare al processo di formazione degli atti normativi comunitari (art. 117, 5° comma).
Il testo di riforma elimina la categoria delle materie di legislazione concorrente: viene dunque meno la categoria costituzionale dei “rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni”. Rimangono immodificati i commi 5 e 9 dell’art.117 e le relative competenze attribuite alle Regioni.
È indubbio che tale modifica vale ad introdurre elementi di chiarezza nei rapporti tra lo Stato e le Regioni, contribuendo auspicabilmente a ridurre i contenziosi di cui è stata investita negli anni la Corte costituzionale.
Per altro verso, è intuitivo comprendere come l’eliminazione della categoria costituzionale dei rapporti internazionali e con l’Unione delle Regioni potrà avere delle ricadute significative sull’esercizio delle competenze “esterne” delle Regioni riconosciute nei rilevanti commi dell’art.117, introducendo, quanto meno sul piano interpretativo, ulteriori limiti rispetto alle limitazioni già apportate, per esempio con riferimento alla conclusione di accordi con Stati terzi, dalla legge di attuazione del Titolo V modificato nel 2001 (la l. 131/2003) e dalla relativa giurisprudenza costituzionale.
In questa prospettiva, va valutato altresì l’impatto del reintrodotto limite della tutela dell’interesse nazionale che, alla stregua dell’art. 117, 4° comma del testo di riforma, giustifica l’intervento della legge statale in materie originariamente non riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, su proposta del Governo.
La competenza legislativa del Senato riformato La perdita, da parte delle Regioni, di una competenza legislativa originaria, ancorché concorrente con quella dello Stato, in talune materie potrebbe essere bilanciata dalle funzioni e dalle competenze attribuite al Senato riformato che dichiaratamente rappresenta le “istituzioni territoriali”, recuperando per questa via una partecipazione delle Regioni al processo decisionale nazionale.
L’art. 70 del testo di riforma indica tassativamente quali sono le materie oggetto di procedimento legislativo bicamerale, in deroga al principio generale che riserva alla Camera dei deputati l’esercizio della competenza legislativa.
Tra le leggi che il Senato riformato concorrerà ad approvare su base paritaria con la Camera figura la legge “che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione delle normative e delle politiche dell’Unione europea”, quindi non solo la legge contenente disposizioni generali in materia qual è oggi la legge 234/2012 ma anche, avuto riguardo al loro contenuto come precisato dall’art. 30 di tale provvedimento legislativo, anche la legge di delegazione europea e la legge europea per quanto rilevanti delle funzioni del Senato, nonché le leggi di cui ai commi 5 e 9 dell’art. 117.
L’attribuzione al Senato di funzioni di raccordo tra lo Stato e gli enti costitutivi della Repubblica e, in particolare, della funzione di raccordo tra lo Stato, le Regioni e l’Ue comporterà verosimilmente una riconsiderazione delle funzioni e delle competenze di organismi di raccordo esistenti, come la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome; tali attribuzioni, potrebbero avere delle ripercussioni anche sulle modalità di proposta, da parte dello Stato, dei membri nazionali componenti il Comitato delle Regioni, organo consultivo istituito e disciplinato dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (articoli 300 ss).
Nulla è previsto, invece, relativamente a un’eventuale partecipazione del Senato al procedimento di conclusione di trattati internazionali. In materia, l’art. 80 del testo di riforma assoggetta all’approvazione di entrambe le Camere esclusivamente la legge che autorizza la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Ue; conseguentemente, in assenza di una disposizione ad hoc tanto nel vigente testo costituzionale quanto nella riforma, un ipotetico recesso del Paese dall’Unione, in conformità con l’art. 50 Tue, dovrebbe essere autorizzato da entrambe le Camere.
Il riconoscimento a livello costituzionale della specificità dei trattati europei, ancorché tardivo, va salutato con estremo favore. Per altro verso, va sottolineato come si sia persa l’occasione per trarre dalla riconosciuta peculiarità di questi trattati - destinati ad incidere in materie di rilevanza costituzionale qual è l’esercizio della potestà legislativa e la cui approvazione, non a caso, è assoggettata a referendum popolare in alcuni Paesi membri dell’Unione - le opportune conseguenze, regolando il relativo processo di ratifica alla stregua dell’art. 138 Cost.
Nessuna competenza, nemmeno di natura consultiva, è riservata al Senato relativamente alla conclusione di qualunque altro trattato internazionale che possa incidere sugli interessi di specifici territori, quali potrebbero essere i trattati per la concessione di basi militari o quelli che prevedono il passaggio nel territorio nazionale di reti transnazionali di trasporti ed energia; nemmeno, al riguardo, è prevista la consultazione della/e Regione/i interessata/e, com’è in alcune Costituzioni di stampo federale*.
*Questo contributo rappresenta una versione ridotta di un articolo più lungo destinato a comparire sul fascicolo 4 de "La Comunità internazionale".
Elena Sciso è professore ordinario di Diritto internazionale, direttore del Centro di Ricerca sulle Organizzazioni internazionali ed europee della Luiss Guido Carli.
|
Nessun commento:
Posta un commento